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Libero

Il Dolcetto delle feste ... A Dogliani c’è il vino identitario del Piemonte. Era il gioiello di Einaudi e ha un’anima popolare che lo rende attualissimo Nasce in una terra suggestiva per storia, sapori e paesaggio ... Celebrano e giustamente le cronache enoiche e soprattutto i criticoni del vino Barolo e Barbaresco e affidano l’immagine del Piemonte a questi due vini di classe davvero tosta. Ma il Piemonte in vigna ha la peculiarità d’avere altre anime che non quelle modaiole. Il Nebbiolo ad esempio si declina in Carema, Gattinara, Roero Rosso e piglia nuoances e consistenze diversissime. Tuttavia a me pare che l’anima del vino piemontese risieda sommamente in due vitigni: la Barbera e l’immenso, imperscrutabile, franco Dolcetto. È un vino aristocratico e democratico al tempo stesso: tant’è che era il preferito di Luigi Einaudi che qui piantò vigna, che da qui lo promosse e che forse sapeva come a partire dal ’500 il Dolcetto fosse stato motore economico di una terra, che diversamente dalle confinanti, non ha mai conosciuto abissi di povertà. Così per farmi un bagno di autenticità piemontese mi sono avviato stavolta lungo la vallata del Rea che solca la Langa di Meridione, in quella porzione di territorio albese dove all’eleganza del costruito e alla densità della storia fa da contrappunto un paesaggio mosso, increspato, agreste e alpestre al tempo stesso. Quasi una contraddizione di natura. Vado alle fonti del Dolcetto. Non si discute questo rosso che a dispetto del nome ha nerbo al palato, secchezza di schiocco di frusta e nettezza di alba alpina, all’incontro col naso sussurra di mora, di marasca, nelle vigne più alte fino all’asprigno del ribes rosso e che tuttavia ha un’austerità non spocchiosa e diventa confidente con i mangiari spessi di queste zone: dal brasato, all’arrosto fino all’immancabile esperienza dei tagliolini con il tartufo. Certo non è agevole per i parvenue della bevuta ché nulla fa per essere accattivante, ma appena appena si ha il palato più educato a percepire la forza espressiva del succo di vigna e di terra allora l’incontro con questo autoctono è davvero inebriante. E a testimoniare del legame profondo che il Dolcetto ha con il territorio sta la sua declinazione in varie zone: c’è quello d’Alba che è più caldo, c’è quello di Ovada che è più sapido, c’è in fine il Dolcetto dell’autenticità che è questo di Dogliani. Un paese in cui si riconoscono nel suo avvolgersi attorno al colle che traguarda il Rea, impetuoso e dispettoso corso d’acqua, ma anche benefico collettore di arie dolci verso le vigne, le vicende di un’architettura che passa dal Medioevo al Neoclassico e che si esalta nei manufatti firmati dallo Scellino. Un luogo Dogliani che è paradigmatico di come dovrebbe essere la simbiosi tra vigna e storia. Si piccano i doglianesi di essere definiti i discendenti dei romani (ma in realtà qui per primi giunsero i liguri) che avevano battezzato queste collie Dolium Janue, cioè la coppa di Giano e ancora cioè la città della vigna, Se sia così non lo so: so però che inquadrando il paese da porta Sottana e da porta Soprana ne riconosco ancora il tessuto medievale e capisco quanto i Marchesi di Saluzzo si fossero qui spesi per munire e abbellire. Poi venero dal ‘500 in avanti anche i Savoia e vi sono tratti del paese che indulgono perciò al belletto. Lo Juvarra non ci è venuto da queste pari ma certo citazioni barocche se incontrano soprattutto negli edifici di Chiesa. Ma ciò che conta è il contesto agricolo. Qui è vigna ovunque, alternata al ciliegio, e mi spiegano che il Dolcetto si coltiva sui bricchi più alti e sabbiosi perché sente il freddo e vuole sole diretto. Matura con ostentata lentezza e tuttavia profuma immediatamente appena ammostato. Semmai pecca un po’ in acidità ed è per questo che più in alto lo mandi e più si migliora. E’ Dogliani al centro di un distretto vitivinicolo spontaneo che si articola da Bastia, Belvedere Langhe, Clavesana, Ciglié, Farigliano, Monchiero, Rocca di Ciglié fino a Roddino e a Somano. Qui si fa il Dolcetto e qui durante le feste si sente questa aria di aristocratica ruralità che si declina in piatti come il bue grasso o come la ci sarà, una minestra di ceci e trippe che più territoriale non si può come del resto a perpetuare esperienze ed appartenenze concorre un ricchissimo artigianato. Dunque se avete in programma a Natale un bel carrello di bolliti vi do un consiglio: o venite a Dogliani o vi stappate una bottiglia di questo Dolcetto. Sarà un augurio sapido di autenticità.

Anna M. Abbona Dogliani Maioli

Un Dolcetto austero. Ha eleganti note di ribes e di mora con accenni di caffè. Al palato è netto e sapido non privo di freschezza (€ 12)

Chionetti Briccolero

Dolcetto di assoluta franchezza all’incontro col il palato. Si beve bene. Al naso offre ciliegia nera, ribes, mora evidente con qualche sentore minerale (€ 11,50)

Edoardo Revelli Autin Lungh

Dolcetto floreale al naso con evidenti accenni di iris. Poi bouquet di frutti rossi. Al palato ha una certa dolcezza. Molto equilibrato si fa notare per la freschezza (€ 9)

Francesco Boschis Sorì San Martino

Quasi una macedonia di frutti rossi quella che sprigiona al naso dove però si avverte anche una vena speziata. Al palato è franco e persistente (€ 13)

Pecchenino San Luigi

Etichetta storica del Dogliani. Il Dolcetto di Pecchenino si segnala per freschezza di bouquet con accenni agrumati. Al palato è succulento (€ 9)


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