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Libero

Valore del vino da tutelare ... In una bottiglia l’Italia che va ... Facciamo un po’ di conti: 14 miliardi di fatturato diretto, contando l’indotto si sfiorano i 20, circa 380mila aziende e più di un milione di occupati. Quattro miliardi e mezzo di fatturato vengono dall’export. Il che significa, a spanne, il 31% del volume d’affari. Seguendo il leitmotiv delle cronache economiche, dei convegni confindustriali o sindacali, le elecubrazioni dei paludati commentatori che ragionano di globalizzazione, d’innovazione potreste pensare che si parli di un settore tutto computer, robot e chissà quali tecnologie. Niente affatto: è roba di terra. Sono faccende di zappa e di cantina. È il vino italiano che è un potentissimo motore economico. Peccato che non abbia, nei ragionamenti alti e fini dei nostri maîtres à penser, un briciolo di considerazione. Si rileggessero quanto scriveva David Ricardo - uno dei padri dell’economia classica - nel saggio Principi dell’economia politica: “Vi sono alcune merci, il cui valore è determinato soltanto dalla loro scarsità. Nessun lavoro può aumentare la quantità di simili oggetti, e perciò il loro valore non può diminuire in seguito ad un aumento dell’offerta ... Vini di qualità speciale, che possono esser fatti soltanto con uve raccolte in un determinato terreno, la cui estensione sia assai limitata, sono tutti di questo tipo”. Questo è il vino italiano che ha conquistato il mondo. Ma può essere anche il paradigma di un nuovo modello di sviluppo basato non sulla produzione di merci tout court, ma sull’affermazione del valore. E ciò vale per buona parte delle produzioni agricole del nostro paese, un settore che se si include l’industria di trasformazione, vale 250 miliardi di euro: un quarto del Pil. Ma di questo valore pochi si occupano. Anche nel mondo del vino che resta confinato alla liturgia delle degustazioni, delle classifiche alla ricerca del facile consenso.
La strada che oggi il vino deve percorrere è il suo protagonismo economico da una parte e la rivalutazione del suo valore culturale dall’altra. Per questa via sterilizzando anche le politically correct, per quanto erronee, campagne anti-alcol che con il vino non c’entrano nulla. Serve oggi al vino italiano uno scatto in avanti d’innovazione in termini di conduzione delle aziende e di articolazione del business, ivi compreso un marketing creativo che usi anche i nuovi mezzi, ma soprattutto veicoli storie, emozioni, valori in un rapporto diretto tra produttore e consumatore; serve una govenance più snella del settore; serve una tutela del suo valore agricolo con un rilancio e un sostegno anche del mercato interno evitando nuovi balzelli (dalla tassa sull’alcol all’incremento dell’Iva) che possono definitivamente sopire il consumo.
Le cantine devono occuparsi un po’ più di questo e un po’ meno dell’enologo o del comunicatore di moda. Tanto il vino hanno imparato a farlo e bene. Va aggregato il sistema, va creato un sostegno all’export, vanno messi a reddito i territori come fossero distretti d’eccellenza. Perché sembrerà strano, ma in quelle bottiglie c’è l’Italia che va.


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