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Libero

Ci scordiamo di difendere il made in Italy ... L’Argentina blocca i prosciutti, l’Europa allarga le vigne. L’Italia tace e perde 50 miliardi di fatturato ... Viene in mente un verso di Mogol, interpretato da Lucio Battisti: “Prendila così, non possiamo farne un dramma”. Eh già. Trema l’Emilia e giustamente la Federalimentare fa notare che i danni all’agroalimentare lì nella food valley sono un enorme buco nella capacità produttiva del Paese. Ma pensate che interessi a qualcuno? No:perché comunque è roba di campagna. Andiamo avanti. Gli ultimi dati dell’inflazione certificano che i prezzi al consumo di tutto ciò che è alimentare sono fuori controllo. Federconsumatori ha stimato un altro salasso di 600 euro all’anno a famiglia. Pensate che i contadini si mettano in tasca un euro di questi rincari? Neppure per sogno. Gli aumenti di pasta e pane sono conseguenza della tensione internazionale sul grano alimentati dagli speculatori che fanno affari a Chicago (nell’indifferenza di tutti) e spingono i futures sui cereali a livelli folli. Lo stesso vale per il caffè e quest’estate il gelato alla vaniglia (se è vera vaniglia) costerà un occhio della testa. Sempre per via delle manone speculative. Ce n’è traccia in qualche notiziario? No. La ragione è sempre la stessa. Ci sono due fatti che in un Paese che avesse contezza del valore dell’agroalimentare e dell’enogastronomia dovrebbero creare mobilitazioni, inchieste, prese di posizione. Il primo è il protezionismo che l’Argentina ha messo in campo contro i nostri prosciutti, il secondo è il fatto che in Europa si continua a menare il can per l’aia sull’allargamento ad libitum della superficie vitata. Il ministro Catania sta facendo l’impossibile per evitare questa seconda sciagura, ma è solo. In Francia si era mosso Sarkozy e Hollande ha già picchiato i pugni sul tavolino. Da noi non importa nulla a nessuno. Lo Stato, che pretende l’Imu da chi coltiva, la politica, gli stakeholders economici se ne fregano. Eppure basta fare agricoltura, più agroindustria, più turismo per mettere insieme oltre il 25% del Pil. E basta ricordare che la mancata tutela del Made in Italy e una pessima promozione - si veda la miserrima fine che ha fatto Buonitalia con tanto di conto salatissimo per le finanze pubbliche con sprechi a go go - sia dei territori che dei prodottici fanno perdere più o meno 50 miliardi di fatturato. E allora sia dato merito a Franco Ricci se prova con Ais-Bibenda a metterci una pezza. Lo ha fatto (ne parliamo in queste stesse pagine) con la giornata dedicata alla cultura del vino cercando di mettere insieme operatori, comunicatori, ricercatori. Ma ciò che è stato decisivo è sentire le imprese che chiedono di fare sistema, che pensano non più a farsi concorrenza ma a creare un nocciolo duro per andare alla conquista dei mercati. Sanno perfettamente che se va avanti la cura dimagrante che Monti ha imposto ai consumi ammazzati dalle tasse - e non si sa cosa potrebbe accadere se scattasse un ulteriore aumento dell’Iva: anzi è facile prevederlo, ulteriore contrazione di 1,5% dei consumi alimentari - l’Italia rischia di diventare un mercato residuale. È un paradosso: noi che abbiamo la più alta produttività agricola, il maggior numero di prodotti a marchio, che abbiamo record d’immagine e di export in questi settori rischiamo di dover considerare il mercato interno non più interessante. Questo in larga misura perché la politica non considera il made in Italy dell’agroalimentare come un valore, come il primo valore al pari dei beni culturali che, infatti, sono pur’essi dimenticati. Dunque l’opera di Bibenda-Ais ha come primo scopo quello di richiamare l’attenzione e come secondo quello di domandare agli operatori se non sia giunto il momento di fare da soli. Lo ha detto chiaramente Riccardo Ricci Curbastro che è presidente di Federdoc chiedendo a gran voce che l’Italia s’impegni per scongiurare l’allargamento dei vigneti in Europa. Per noi sarebbe un danno enorme. Non solo perché le aziende perderebbero di colpo patrimonio, ma perché non programmando la produzione di vino a livello comunitario i nostri vini - che sono ad altissimo valore aggiunto - finirebbero per essere annacquati dagli altri. Per l’Italia il vino vale 15 miliardi di fatturato, 4,4 dei quali fatti all’estero. Conta più di buona parte dei coccolatissimi settori industriali. Ma la latitanza politica tocca l’apice su un caso emerso nei giorni scorsi e caduto nel nulla. Il presidente di Confagricoltura Mario Guidi ha suonato l’allarme: chi l’ha raccolto? Nessuno. Invece la faccenda è serissima. L’Argentina per accontentare i propri produttori ha bloccato le importazioni di prosciutti da Italia, Spagna e Brasile. È una palese violazione delle norme sul commercio mondiale (Wto), uno schiaffo in faccia all’Europa e un danno per la nostra economia stimabile attorno alle 200 tonnellate di prosciutti non venduti. Il che ha un impatto notevole sul comparto in termini economici, ma ancora di più un impatto politico. Ancora una volta si dimostra che l’Europa non difende le produzioni mediterranee, che l’Italia non è in grado di farsi valere in Europa, ma soprattutto che l’Italia non ha consapevolezza del valore di questi comparti: agricoltura, agroindustria, enogastronomia. Ed è strano che tocchi ai sommelier intonare lo stringiamoci a coorte visto che le Regioni buttano quattrini per promuovere non si sa chi, cosa e come, visto che ad ogni piè sospinto si magnificano la cucina, i prodotti, gli agricoltori,ma poi si lasciano orfani di tutela. Ci rimettiamo come Paese un sacco di soldi, come cittadini la salute, ma niente si muove. E allora? Prendila così, non possiamo farne un dramma!


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