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Libero

Colpa del caldo ... Vendemmia scarsa e prezzi in ascesa ... È il cambiamento climatico la causa del forte calo di produzione di uve della vendemmia 2012 in Italia; per la stessa ragione erano state scarse le vendemmie del 2007, 2008, 2009 e 2011. Inevitabilmente si aggiunge ora anche la scarsità delle giacenze di vino presso le cantine delle annate precedenti. Nel volgere di pochi anni si è passati da una situazione di produzione perennemente eccedentaria a quella di penuria. Il cambiamento climatico ha reso farlocche le previsioni vendemmiali che fioccano a partire dalla fine di luglio: perché calura e siccità si protraggono ormai per tutto il mese di agosto, quando l’uva è formata, asciugandola fino ad avviare fenomeni di avvizzimento degli acini, causando consistenti perdite di peso che sfuggono alle stime affrettate. Occorre almeno attendere la fine di agosto, dopo che è ormai iniziata la vendemmia delle varietà precoci, per rendersi conto delle perdite di peso causate da calura e siccità: i produttori italiani hanno già dichiarato per le varietà precoci cali in tutte le regioni, talora anche elevati. Ma un parziale recupero c’è sempre perché dopo la calura di agosto arriva l’acquata di settembre. La produzione di vino è in Italia strettamente regolamentata. La superficie a vigneto non può crescere: per piantare un nuovo vigneto occorre prima averne espiantato uno di pari superficie. Sarà così fino al 2015, poi si vedrà. Il vino è un prodotto naturale, a determinare la quantità d’uva sono le condizioni climatiche, è il cielo il tetto del vigneto; non è come produrre al riparo delle fabbriche. È un concetto che spesso sfugge alla finanza e a chi commenta i risultati economici del settore vinicolo. C’è chi teme che il vino italiano venga a mancare, che non se ne produca più a sufficienza per soddisfare la domanda interna e mantenere le quote di export faticosamente guadagnate. Già negli ultimi sei mesi l’export ha arrestato la sua corsa ed ha cominciato a flettere. Ma non è un segno preoccupante perché la perdita si concentra sul vino sfuso, buona parte del quale veniva venduto a prezzi stracciati: meglio che resti in Italia ad alimentare la produzione del confezionato. Il prezzo medio per litro di vino italiano esportato è ancora uno dei più bassi, distanziato largamente non soltanto da quello della Francia ma anche da Stati Uniti, Nuova Zelanda, Cile, Argentina... È giusto essere orgogliosi dei vini che si producono in Italia, occorre esserlo meno quando vengono svenduti. Se l’offerta di vino italiano cala e la domanda cresce o resta invariata è inevitabile che i prezzi crescano. Sono già in forte tensione i prezzi delle uve e lo saranno a breve i prezzi del vino all’ingrosso, entrambi rimasti fermi da dieci anni! A crescere saranno anche i prezzi delle bottiglie di vino ora offerte su scaffale ameno di tre euro, che rappresentano il 70% delle vendite presso la grande distribuzione italiana. È possibile però che la crescita dei prezzi delle uve e del vino all’ingrosso avviino un processo virtuoso: spronare i produttori a migliorare la qualità, ad applicarsi per costruire maggiore domanda nelle fasce dei prezzi medio-bassi, ad imparare a vendere meglio. Nelle regioni italiane più afflitte dalla calura si chiede che venga autorizzata anche per i vini a denominazione l’irrigazione di soccorso, fino ad ora vietata; si dovrà anche imparare a proteggere meglio il vigneto dall’evaporazione dell’umidità del suolo. Prendono vigore malattie della vite che sembravano sopite mentre si avverte forte l’esigenza di un minore impiego di pesticidi in viticoltura. Le conoscenze acquisite in passato devono essere rapidamente integrate con quelle della ricerca, della tecnologia e della capacità di osservazione dei viticoltori. È questo il passaggio che al momento desta maggiore preoccupazione.


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