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Libero

Inebriarsi sul “lago dorato” ... Trasimeno, sulle onde del mito Vini eleganti e antiche rocche ... Lo chiamano il mare di Perugia, scherzando sulla disabitudine degli umbri alle distese d’acqua. Ma è riduttivo assai perché qui si percepisce la presenza del mito. Cerca - con un po’ d’affanno - il Trasimeno di togliersi quell’etichetta da strapaese, di turismo cheap che per troppi anni l’essere appunto il “mare” di Perugia gli ha messo addosso: in parte è coperta tranquillante, ma è soprattutto camicia di forza. Merita infinitamente di più questo che è una sorta di liquido onfalos di quella regione che non esiste nei confini geografici, ma è ancora presentissima nelle declinazioni antropologiche: l’Etruria. Era questa la terra dei Rasenna, degli etruschi. Si scopre a Castiglion del Lago - bellissima - con i bastioni dei Della Corgna, con quella coppia di torri cilindriche aperte sulla distesa d’acqua, con quel rincorrersi di bottegucce dove tra la paccottiglia del falso tipico s’incontrano anche delizie per il palato e dell’artigianato. E’ un andare circolare quello sulle rive di questo lago dorato munito di due isole incantevoli che si possono raggiungere da Tuoro - borgo antico di pescatori - o da Passignano che resta il fulcro delle attività economiche. Il susseguirsi di rocche, di pievi remote, di reliquie francescane offrono un universo liquido d’emozioni. E Montepulciano e Cortona e San Sepolcro sono lì a due passi a delimitare una civiltà d’arte, di sapori, di agricoltura e di luoghi che ha nel mistero etrusco il suo denominatore. Da Castel Rigone a quasi settecento metri d’altezza, nei pressi di una nuda pietra nella macchia fu ed è il letto di San Francesco, quell’universo liquido appare commovente. Ma altre scoperte attendono: a Piegaro dove c’è un insolito museo. Qui si producevano i vetri, i fiaschi per il Chianti, per gli oli a partire dal ‘300. E qui l’industria del vetro si perpetua ora con assenza di abilità artigiane, di soffiatori, d’impagliatrici. Ma visitando Piegaro si percepisce l’intimità e l’operosità di questi luoghi che diventa accortezza e fascino urbano a Città della Pieve. Tutto questo merita ampia promozione, visita accurata e struggente da parte del turisti e recupero di qualità. E ancora una volta questo recupero di valori è affidato all’agricoltura. In crescita esponenziale è la coltivazione della fagiolina, un must del Trasimeno, un legume raro, minuto e sapidissimo, in crescita è l’olio extravergine, ma soprattutto il vino. Degustato il Gamay del Trasimeno (che in realtà è Grenache) appare serico, ampio, fruttato; sapido e brioso il bianco da Grechetto, corposo il merlot che tuttavia non indulge a dolcezza se non a quella dei tannini, autentici ed equilibrati i blenda da Sangiovese fanno riemergere la consanguineità con i celebrati terroir di Toscana. Li racconta così questi vini Roberto Berioli (produttore di ottimi merlot) che è presidente della Strada dei Vini del Trasimeno e con orgoglio il presidente del Consorzio Emanuele Bizzi (autore di uno Chardonnay metodo classico: spumante che ha il profumo del Lago) narra come i vini del Trasimeno siano in crescita esponenziale: se nel 2009 erano 2.039,94, nel 2011 sono diventati 3.905,68 ettolitri. Di cui 348.195 bottiglie provengono da cantine aderenti al Consorzio di Tutela dei Vini Colli del Trasimeno. E il mercato? Cresce ma ha bisogno che il Trasimeno venga compreso nella sua nobiltà. Che si riflette in un tegamaccio (cacciucco di pesci di lago buonissimo), o in un crostino di selvaggina, nei “bici” (ecco l’influsso senese-aretino) al sugo di cinghiale o con i profumatissimi funghi di questi boschi o nel coregone abbrustolito sulle canne del lago. Desinari che trovano perfetto accordo con questi vini, desinari che rimandano ad una ruralità che è anche civiltà lacustre, a presentissimi miti: come quello etrusco. Per inebriarsi sul lago dorato tra Bacco e Rasenna.

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