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Libero

Quei sapori di Barbagia che profumano d’infinito ... Da Oliena a Orgosolo alla ricerca di Cannonau ed extravergine ottenuto dalla “Nera”. Tra filari e scarpate di tufo bruciate dal sole ... Come canne al vento, dell’emozione. Così con grazia (Deledda) d’intelletto e intensità d’affetto s’avverte la malia, virgiliana, della Barbagia. È un sortilegio sottile quello officiato da questa terra aspra conchiusa dal Supramonte, epica e vetusta. Qui, per dirla con i Gesuiti che arrivarono nel ’600 a fertilizzare di fede ma anche di sapienza agricola, si parla in sardesco e si pensa all’infinito. Come se vi fosse una circolarità dell’esistenza che frange sulla montagna, si disperde nei pascoli e torna, quasi risacca antropologica, all’origine nuragica. È un viaggio da crisi, non nella crisi, quello che si compie adesso in queste valli di gesso e di calcare, tra ulivete infinite e ordinati filari di Nepente, l’aulente Cannonau che qui ha culla e perizia enologica. Persi come siamo in un amletico mare d’affanni, ancorarsi a questi scogli del tempo corrobora nel farci sentire ancora autentici. Oliena è con Mamoiada, Orgosolo, il centro di gravità della Barbagia. Ci capito portato dal Girolio a scoprire l’oro verde di questa terra: l’extravergine che qui si estrae da olive Bosana, ma soprattutto dalla Nera d’Oliena che è una cultivar peculiare. L’olio è sapido, quasi salato, profuma di carciofo, è giustamente piccante. Come tutto qui. È una terra che ha sapore spesso e profumo intenso. Anche quello dell’amicizia che mi viene offerta a piene mani da Valentino (Carta) che s’industria a ridare centralità all’agricoltura che qui è ancora la risorsa principale e riscatto economico e sociale e da Pasquale (Giobbe) che è norcino e pastore, ma soprattutto custode e rivitalizzatore di quel luogo del mito che è la valle del Lanaitto. Là c’è il famoso villaggio nuragico di Tiscali, ma ci sono altri due siti che meritano una meditata visita. Sos Carros dove c’è una fontana di 2400 anni con i mufloni votivi, al servizio dei riti della Mater Matuta e Sa Sedda dove s’è scoperto che l’uomo viveva qua quarantamila anni or sono. Oliena è acciottolata dagli zoccoli dei cavalli barbaricini, è saporita dei vapori del maialino e del capretto che sfrigolano sulle bruste, è golosa di salumi spessi e di pecorini dolcissimi, con ricotte che ancora fumano alle nebbie tardoautunnali e odore di camino dei forni domestici dove si produce incessante il pane carasau. Un viaggio nel cuore di Barbagia sconfina verso Jerzu dove il vino ha celebrazione, incontra Pattada dove l’artigianato è massimo, arriva fino a Ittiri alle porte del sassarese dove si coltivano i migliori carciofi del mondo che già adesso crocchiano in bocca. I sensi, l’olfatto e il gusto, s’inebriano di queste confidenze agresti e sussultano per la grappa e gli amari fatti con le erbe del Supramonte, l’udito s’affina per il canto a tenore e le sussurrate leggende legate alle medicine (le pratiche rituali contro il malocchio) e alla ricordanza macabro-magica delle s’accabadoras angeli - caritatevoli - della morte in forma di donna, il tatto s’affascina nel toccare le sete dei fazzoletti e dei costumi e l’orbace, la lana nera e grezza delle vesti. La vista infine s’appaga di un paesaggio assoluto che il monte Corrasi sovrasta come un orco di pietra che s’ingentilisce e stilla un’acqua vitale dalle sorgenti di Su Gologone a dirci: tutto scorre ma tutto torna, carsicamente alla fonte. La fonte di quel mal di Barbagia che è desiderio di restare, che è felice afflizione di noi canne al vento dell’emozione

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