Non si arresta la normalizzazione del mercato secondario dei fine wine, dove i grandi vini di Bordeaux continuano sì a giocare il ruolo di protagonisti, ma senza più cannibalizzare gli altri grandi territori enoici. Come raccontano i numeri del Liv-ex, al giro di boa del 2018, la borsa delle compravendite delle etichette top, sono lontani i tempi in cui Bordeaux rappresentava il 95% delle contrattazioni: era il 2010, e da allora la quota dei bordolesi è andata erodendosi anno dopo anno, scivolando sino al suo nuovo record negativo del 60,7% a giugno 2018, in crollo verticale sul 68,3% del 2017. Tanti sono i motivi di questo stravolgimento, in primis un livello di prezzo eccessivo, cui la Cina ha voltato le spalle già dal 2011, e poi un mercato che ha allargato i propri orizzonti, con un gran numero di nuove etichette a destare l’interesse di collezionisti ed investitori.
Dietro Bordeaux, così, cresce la share della Borgogna, “casa” del re delle aste, Romanée-Conti, che passa dal 12,5% del 2017 al 14,7% del 2018, grazie ad un ampliamento enorme delle etichette trattate: ben 1.573 hanno animato le contrattazioni nel 2017, sei volte in più del 2010, per un giro d’affari che, in soli tre anni, è passato da 3 a 9 milioni di sterline. Ma non c’è solo la Borgogna a guadagnare quote di mercato, corrono anche l’Italia, i cui vini top (Masseto, Ornellaia,Sassicaia, Solaia, Tignanello, Gaja Sorì San Lorenzo, Gaja Barbaresco, Giacomo Conterno Barolo Cascina Francia, Antinori Guado Al Tasso e Tua Rita Redigaffi) valgono oggi il 7,3% del mercato secondario dei fine wine (il 6% nel 2017), Champagne, che schizza al 7,6% (dal 6% del 2017) e Rodano, ancora indietro, ma che oggi muove il 2,9% del mercato. In controtendenza, invece, i vini del resto del mondo, ossia le bottiglie più rappresentative di Usa, Spagna, Australia, passati dal 5% del 2017 al 4,4% del 2018.
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