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FUTURO

L’Oltrepò Pavese guarda alla Borgogna per disegnare il futuro del Pinot Nero

Tra vinificazione in rosso e metodo classico, le “Conversazioni sul Pinot Nero”, incontro tra produttori, Armando Castagno e Filippo Bartolotta
ARMANDO CASTAGNO, BORGOGNA, FILIPPO BARTOLOTTA, FUTURO, OLTREPÒ PAVESE, PINOT NERO, Italia
L’Oltrepò (ph: E.Vaccaroli)

Non è un caso che l’Oltrepò Pavese sia la terza area produttiva del Pinot Nero al mondo, dietro solamente a Borgogna e Champagne. Qui, a qualche decina di chilometri da Milano, sulle sponde del fiume che divide simbolicamente l’Italia, il Pinot Nero ha trovato, sin dal XIX secolo, un territorio particolarmente vocato, senza però riuscire ad imporsi davvero sul mercato internazionale dei consumi. Ecco perché, adesso, i produttori dell’Oltrepò Pavese sono chiamati a trovare una direzione nuova, per rilanciare un vitigno elegante e poliedrico, al centro di “Talk ’n’ Toast - Conversazioni sul Pinot Nero: terroir a confronto dalla Borgogna all’Oltrepò”, di scena ieri a Milano, dove si è parlato dei terroir e delle caratteristiche di queste due grandi aree, da sempre vocate alla produzione di Pinot Nero, in un interessante confronto tra Armando Castagno, critico e autore del libro “Le vigne della Côte d’Or” sulla Borgogna, e Filippo Bartolotta, comunicatore del vino italiano nel mondo, con 23 aziende: Alessio Brandolini, Ballabio, Bruno Verdi, Cantina La Versa, Cantina Scuropasso, Castello di Cigognola, Conte Vistarino, Cordero San Giorgio, Finigeto, Frecciarossa, Giorgi, Giulio Fiamberti, La Genisia, La Piotta, La Travaglina, Manuelina, Marchesi Adorno, Monsupello, Montelio, Pietro Torti, Quaquarini, Tenuta Mazzolino, Travaglino. In Oltrepò il Pinot Nero riesce, storicamente, ad esprimere con successo le sue due anime, quella della vinificazione in rosso e quella della bollicina metodo classico: merito delle caratteristiche del suolo e del suo clima particolare, oltre che della capacità e dell’intraprendenza dei viticoltori e delle cantine, che guardano al futuro, ispirandosi anche al mito della Borgogna, e continuando ad investire nella sperimentazione, nella sostenibilità e nella ricerca per delineare sempre più l’identità dei prodotti, in modo che sappiano conquistare gli appassionati, esaltando tutte le caratteristiche del territorio e con un’impronta sempre più internazionale.
“Questi produttori stanno dimostrando che è arrivato il momento di prendersi onore e onere nell’annunciare di essere il più importante distretto del Pinot Nero in Italia. 3.000 ettari di questa uva straordinaria coltivata in un terroir definito storicamente e geograficamente in modo inequivocabile: un triangolo equilatero con la base costituita dal Po e dalla via Emilia che sale a sud fino a 1700 metri. Un cuneo, nel lembo nord più estremo degli Appennini, confinante ad ovest con il Piemonte e ad Est con l’Emilia Romagna, con la Liguria che a piedi si può raggiungere attraverso la “Via del Sale”. Viticoltura di montagna con pendenze che toccano anche i 45 gradi, lasciando che la vista rimanga ingannata come se fossero della stessa verticalità di un muro di un edificio. Decine di colline che sembrano le quinte di un teatro cinese. Qui il Pinot Nero ha trovato i suoi natali verso la metà dell’Ottocento e, nel 1865, nasce il primo metodo classico italiano grazie al lavoro del Conte Vistarino e dell’imprenditore Carlo Gancia. una storia costruita da una collettività che adesso ha deciso di crederci un po’ di più e di rivelare con più decisione il lavoro svolto in questi ultimi anni”, spiega Filippo Bartolotta. “Nei calici del metodo classico si può riscontrare già una bella continuità espressiva. Nei Pinot in Rosso, nonostante qualche etichetta che da anni ormai riesce a raccontare l’Oltrepò con grande trasparenza, si percepisce che ci sono state collettivamente meno vendemmie sulle spalle. L’importante è che il viaggio ora è iniziato e tutti i produttori presenti sembrano avere la piena consapevolezza dei propri limiti e delle proprie risorse, sono sicuro che quest’anno si berrà più Pinot Nero dell’Oltrepò sulle nostre tavole di Natale”, conclude Bartolotta.
“La rivelazione dell’eccezionalità di un terroir non è un evento così anomalo: è la norma, nella storia delle zone classiche del vino mondiale, e anche l’Italia stessa ha fornito nel recente passato esempi clamorosi. Il senso del terroir è proprio questo: la sua definizione territoriale è il conseguimento che arriva al culmine - non al termine - di un percorso di conoscenza che la comunità umana intraprende sulle interazioni reciproche tra vari elementi del proprio ambiente”, racconta Armando Castagno. “ L’azione dell’uomo sul paesaggio, della geologia sul vitigno, dell’uomo sul vitigno, la condivisione del sapere tecnico in viticoltura ed enologia, sono elementi fondanti del terroir. Io credo che i vignaioli dell’Oltrepò, che da quasi due secoli lavorano con il Pinot Nero inseguendone i talenti straordinari - resi in declinazioni diverse - stiano marciando tutti insieme, con una coesione che è condizione fondamentale, lungo questo percorso di conoscenza. Che non sarà breve, beninteso, ma che nel suo snodo, in ogni caso, avrà rivelato qualcosa che non si conosce ancora del tutto, e sarà stato quindi preziosissimo. Ritengo che la parola che dovrà scandire questo itinerario sia “rigore”: a livello associativo, di viticoltura, di produzione, di disciplinare, di comunicazione, di sostenibilità economica, in sostanza a tutti i livelli. Un rigore che fa rima con coerenza e con sobrietà, porta già di per sé reputazione e consenso, da critica e pubblico. Anche perché in questo caso è speso per conoscere e far conoscere i frutti di un territorio dalle potenzialità straordinarie”.
“La promozione - sostengono i 23 produttori (Alessio Brandolini, Ballabio, Bruno Verdi, Cantina La Versa, Cantina Scuropasso, Castello di Cigognola, Conte Vistarino, Cordero San Giorgio, Finigeto, Frecciarossa, Giorgi, Giulio Fiamberti, La Genisia, La Piotta, La Travaglina, Manuelina, Marchesi Adorno, Monsupello, Montelio, Pietro Torti, Quaquarini, Tenuta Mazzolino, Travaglino) che hanno dato vita all’evento - è importante se dà modo di raccontare tutto ciò che contribuisce a rendere unico un vino: il vitigno, il territorio, il clima, i viticoltori che lo producono con procedimenti innovativi ma in continuità con una storia che riporta alle tradizioni del luogo. Momenti come questi servono sia a noi produttori - per spronarci nell’alzare ulteriormente l’asticella qualitativa del prodotto - sia a chi deve raccontare il nostro vino, che di fatto diventa la nostra voce verso i consumatori”.

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