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VITICOLTURA

L’uva di San Martino e la produzione secondaria delle femminelle, tra storia e futuro

A WineNews, una peculiarità della vite dal passato curioso e dal potenziale tutto da capire, con Attilio Scienza e Leonardo Valenti

In un mondo che cambia in fretta, anche la viticoltura si è messa alle spalle pratiche una volta assai comuni, e oggi finite nel dimenticatoio. Come la raccolta di quella che, in Italia, veniva chiamata “l’uva di San Martino”, ossia la produzione secondaria legata alle femminelle, tra ottobre e novembre. Non è così raro, infatti, che, a vendemmia ormai conclusa, e con la vite spoglia, appaia qualche piccolo grappolo, che difficilmente arriva a pesare 50 grammi, e raramente a raggiungere livelli di alcol e zuccheri sufficienti da rendere sostenibile, qualitativamente ed economicamente, una seconda vendemmia. In effetti, questa seconda produzione della vite, piuttosto normale nelle varietà precoci, resta perlopiù sulla pianta. Resta, però, un fenomeno interessante, dalla storia assai curiosa, e con prospettive, in epoca moderna, tutte da scoprire o riscoprire, come hanno raccontato, a WineNews, Attilio Scienza e Leonardo Valenti, entrambi docenti di viticoltura all’Università degli Studi di Milano e tra i massimi esperti in materia.

Da un punto di vista agronomico, come spiega il professor Scienza, “i rami anticipati, o femminelle, sono i rami, i germogli e i tralci su cui è inserita la gemma ibernante, che si svilupperà la primavera successiva, che non si trova sul tralcio principale, ma è alla base della gemma pronta che dà origine alla femminella. È una precauzione che prendono le rampicanti, che hanno l’obbligo di crescere molto e di rinnovare costantemente l’area fogliare, che, nel germoglio principale, invecchia, venendo rinnovata appunto con le femminelle. Nel momento in cui la femminella entra in produzione, blocca la crescita della gemma ibernante, che non può svilupparsi, difendendola. Inoltre, è una garanzia nutrizionale allo sviluppo della differenziazione, perché mentre la gemma ibernante impiega un anno tra differenziazione e fertilità, la gemma pronta ha un’accelerazione formidabile, e la nascita del grappolo è repentina”.

Se oggi questa seconda produzione è destinata a restare sulla pianta, in passato se ne faceva un uso decisamente diverso. “In Puglia - ricorda Attilio Scienza - si raccoglieva l’uva sovramatura di Primitivo della prima produzione (quindi della gemma ibernante) e, per dare acidità e freschezza, si vendemmiava, in contemporanea, ai primi di settembre, anche l’uva delle femminelle, rispetto alle quali il Primitivo, varietà precoce, è sempre stato particolarmente fertile. Nel passato, quest’uva veniva raccolta dai contadini che ne facevano un vino semplice, chiamato agresto, a basso titolo alcolico ma dalla bella acidità, da bersi durante la primavera: era il vino che i mezzadri, una volta venduta l’uva a fine vendemmia, producevano per sé. In Borgogna, invece, oggi la raccolta delle uve prodotte dai germogli secondari è vietata, e tra i filari si trovano spesso e volentieri che ribadiscono il divieto”. La novità, se di novità si può parlare, è che l’attuale andamento stagionale porta “ad una maturazione anticipata di due o tre settimane anche delle uve prodotte dalle femminelle, che così potrebbero garantire la produzione di un vino assolutamente bevibile. Difficilmente - chiosa Scienza - lo vedremo in un Paese come la Francia, dove i viticoltori hanno chiesto la distillazione ed espiantano ovunque ...”.

Tra le varietà che registrano una seconda produzione più importante, spicca il Pinot Nero, come ricorda Leonardo Valenti. “Ma è un fenomeno del tutto normale, lo vediamo da sempre. Non c’è una condizione scatenante, dipende dallo sviluppo vegetativo delle piante, che in certe annate è maggiore, e tendono così a scaricare il loro vigore su questi nuovi germogli, a volte sufficienti, quantitativamente, per una seconda vendemmia. Si tratta di una produzione limitata, il 15-20% del prodotto della pianta, pochi grappoli, e piccoli. La femminella ha un aspetto positivo: i cicli molto accorciati, che possono portare a grappoli che hanno delle caratteristiche che li rendono adatti alla vinificazione. Essendo un fatto sporadico, la gestione di queste uve non è normata dai disciplinari, anche perché quasi mai quell’uva viene raccolta, si tratta di grappoli da 20-30 grammi e, sostanzialmente, per le aziende rappresenta un costo piuttosto elevato”.

Una produzione marginale, su cui però resiste una certa curiosità, anche da parte del professor Valenti: “è capitato, su varietà come Pinot Nero e Pinot Grigio, di vinificare queste produzioni, più che altro per curiosità. Sono uve di buona qualità, con una buona gradazione zuccherina, e se si lasciano sulla pianta fino alla fine della stagione riescono a sviluppare anche gradazioni importanti, specie in Italia. Le varietà tardive, invece, difficilmente arrivano a produrre grappoli da femminelle. La cosa positiva è che, a differenza di altre specie, come l’ulivo, nella vite la fioritura delle femminelle non inibisce la differenziazione del fiore nell’anno successivo. La piante si defoglia, il grappolo rimane lì e tende semplicemente a marcire o ad essere mangiato dagli uccelli, e al limite viene eliminato con la potatura”.

È interessante, infine, notare che l’aumento delle temperature medie “non ha nulla a che fare con questo fenomeno: è lo stato idrico e di vegetazione della pianta a spingere la produzione della femminella, e se la pianta è in stress la produzione diventa difficile. Sto facendo delle prove di ricerca - conclude Leoanardo Valenti - facendo delle cimature molto anticipate, che dovrebbero portare ad una produzione quantitativamente rilevante, per capire quindi se sia possibile utilizzare questa produzione, nell’ambito del Climate Change, per avere due tipologie di prodotto. Ad esempio, una prima vendemmia di Pinot Nero da rosso ed una seconda da base spumante, anche se per ora, dopo due anni di esperimenti, non abbiamo ancora ottenuto riscontri sulla fattibilità economica e produttiva”.

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