Calano le importazioni e le esportazioni ma aumentano - sia pure di poco - le quotazioni del prodotto acquistato e venduto dall’Italia. Si sposta in Europa il baricentro del mercato internazionale e la Cina non è più quel mostro di cui tanto si è parlato finora. In sofferenza anche il Sud America. E’ questa la fotografia rilevata dalla Federazione Apicoltori Italiani, che ha rielaborato in questi giorni i dati forniti dall’Istat - Istituto Nazionale di Statistica, sul mercato del miele nel 2006.
E’ leggera ma costante la flessione del quantitativo di miele importato dall’Italia nell’anno 2006, pari a 13.854.909 kg a fronte dei 14.156.189 kg del 2005 (-2,1%); nel 2006 il nostro Paese ha speso globalmente 22.565.503 milioni di euro e ne ha incassati 9.476.452 (con una riduzione rispetto all’anno precedente). In rialzo (+10%) quindi, il prezzo medio di acquisto che rimonta nel 2006 a 1,63 euro/kg, a fronte dell’1,48 euro/kg del 2005. Un dato sul quale - secondo la Fai (Federazione Apicoltori Italiani) - si basano le speranze dei tanti Apicoltori che hanno ancora i laboratori pieni e che possono ora negoziare al rialzo per il prodotto nazionale invenduto.
Il fenomeno più macroscopico, è quello che vede ridursi il complesso delle importazioni dal Sud America: l’Argentina (principale fornitore dell’Italia) cala a 7.793.074 kg in linea con quasi tutti gli altri Paesi del Mercosur eccetto il Brasile - che torna ad esportare 55.601 kg dopo i blocchi imposti dalla UE per le scarse condizioni igieniche rilevate nella produzione carioca - e il Cile, che raddoppia le forniture all’Italia, con i suoi 40.800 kg.
In ambito europeo emergono la Bulgaria - che ha quasi triplicato, nell’ultimo anno, il quantitativo di miele fornito al nostro Paese con 217.475 kg - e l’Ungheria che, con i suoi 4.123.120 di kg, si conferma il nostro principale fornitore comunitario. Tra i Paesi extra UE, si attestano a pari merito la Turchia, Antigua e la Cina con quantitativi che sfiorano di poco i 40.000 kg ciascuno.
L’export, anch’esso in debole flessione, si attesta sui 3.595.579 kg e sembra aver toccato un livello fisiologico la cui crescita ha bisogno di ulteriori sforzi, da coordinarsi a livello nazionale, per il consolidamento dei nostri tradizionali mercati e per l’apertura di nuovi. Il 90% dell’export italiano ha destinazione europea ma è quasi raddoppiato il miele esportato verso il Giappone con 57.044 kg, al prezzo medio di 4,95 euro/kg.
Particolarmente remunerativo, con i suoi 2,63 euro/kg, il prezzo medio del miele made in Italy, venduto nel mondo. Dati, quelli dell’export, che secondo la Fai (Federazione Apicoltori Italiani) tracciano un possibile percorso per la conquista di nuove opportunità in tutto l’Oriente e nei Paesi Arabi, oltre ai tradizionali e nuovi sbocchi europei oggi sempre più a portata di mano.
Un’ultima notazione della Fai che sottolinea come le quotazioni del miele, nei mercati internazionali, aggancino e influenzino le transazioni all’ingrosso del prodotto italiano. I principali confezionatori, pertanto, acquistano il miele di produzione nazionale facendo riferimento e leva sulle quotazioni del prezzo internazionale. Non è da attribuirsi, pertanto, agli Apicoltori italiani l’aumento dei prezzi del miele al consumo. Altri sono i soggetti che traggono profitto, nelle varie fasi del sistema distributivo, su questa particolare e ormai non remunerativa derrata alimentare. Una politica che scoraggia la distinguibilità e l’affermazione della qualità del prodotto nazionale.
Fonte: elaborazione Fai su dati Istat
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