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IDEE DI TERRITORIO

Montagna e vino, rapporto profondo. E ora la Nino Negri affina il vino a 3.000 metri, in Valtellina

Il progetto è della storica cantina del Gruppo Italiano Vini (Giv). Le riflessioni di Paolo Cognetti, autore del libro “Le otto montagne”

“Il vino in montagna è forse la coltivazione che più di ogni altra racconta di che terra è fatta quella valle, non abbiamo un vino uguale all’altro benchè i vitigni siano più o meno sempre gli stessi, si coltiva il Nebbiolo in Valtellina così come in Valle d’Aosta, ma vengono vini sempre diversi. È come se l’uva avesse questo potere di estrarre dalla terra i suoi odori, le sue sostanze, i suoi minerali. È molto bello annusare il vino, perchè soprattutto nei territori che conosci senti la roccia, la terra, l’erba, il sottobosco, il terreno dove quell’uva è cresciuta”. Parole, a WineNews, di Paolo Cognetti, autore del libro “Le otto montagne”, che, in qualche modo, spiega bene lo spirito del nuovo progetto della Nino Negri, cantina fondata nel 1897, oggi di proprietà del Gruppo Italiano Vini (Giv), che ha contribuito non poco alla fama internazionale dei vini della Valtellina. E che, oltre a produrre vini ad alta quota, ora ha voluto anche metterli in affinamento “in vetta”, per capire se la montagna, oltre a dare caratteristiche uniche ai vini che nascono nei vigneti terrazzati delle Dolomiti, ha effetti peculiari anche sull’affinamento del vino. E così, il Vigna Fracia Valtellina Superiore Docg 2016 prodotto da uve Nebbiolo dei vigneti situati in una zona alpina prossima ai ghiacciai, dimorerà un una nuova cantina ricavata negli spazi del rifugio Heaven 3000, uno dei più celebri delle Dolomiti, a Bormio, con le bottiglie che saranno aperte in occasione delle Olimpiadi invernali del 2026 Milano-Cortina con un brindisi speciale che svelerà l’effetto dell’alta montagna sul nebbiolo della Valtellina.
“Ci piaceva l’idea d giocare su tutta la nostra valle, quindi ai nostri 300 metri di altitudine della cantina, abbiamo aggiunto uno zero, e abbiamo fatto diventare i 300 metri 3000 metri. A Heaven 3000 abbiamo trovato una location ideale per fare una piccola cantina dove affiniamo 1.300 bottiglie di Vigna Fracia 2016 che, ha fatto cinque anni di affinamento a 300 metri e che farà 5 anni di affinamento a 3.000 metri per arrivare al momento delle Olimpiadi, quindi nel 2026, pronte per essere degustate”, ha spiegato, a WineNews, Danilo Drocco, enologo della cantina Nino Negri, nei giorni scorsi nella “Ice Waves Esperience”, in cui è stato spiegato il progetto, con tanto di concerto ad alta quota del pianista Alessandro Martire, giovane compositore noto le sue esibizioni in mezzo alla natura, che ha preceduto poi l’incontro, andato in scena a Milano, con al centro un dialogo tra letteratura e viticoltura con lo stesso scrittore Paolo Cognetti, Danilo Drocco ed il saggista Massimo Zanichelli (nei prossimi giorni il racconto in un video di WineNews).
Un progetto, quello della Nino Negri, che vuole valorizzare ancora di più le unicità del Nebbiolo di montagna, “che riesce ad esprimere il terroir della nostra zona. Un suolo poco ricco di terra, dove la roccia madre si trova a ridosso delle radici e quindi ha una mineralità naturale di forte espressione. E poi, il clima: ci troviamo comunque in una zona alpina, con un clima continentale, che sente molto il freddo del Nord Europa, quindi sovente quando capita che nel resto d’Italia il clima è di un certo tipo, non è detto che in Valtellina sia uguale. E soprattutto, oltre ad avere un freddo di base un po’ più intenso rispetto agli altri territori, abbiamo una grande fortuna: abbiamo ancora grandi escursioni termiche. Abbiamo montagne fino a 4.000 metri, ancora ricche di ghiacciai, quindi cosa succede durante la notte? Che l’aria, fredda, diventa pesante e scende in valle creando questa alternanza di temperature che per il Nebbiolo è veramente una grande ricetta”, spiega ancora Drocco, che aggiunge: “produciamo uva e vino, in Valtellina, da oltre 2000 anni, e se per 2000 anni si sono mantenute queste vigne, è perchè il vino ha un’espressione unica e particolare. Si, il posto è difficile, fare viticoltura è difficile, però riusciamo ad ottenere un vino di una grandissima eleganza, di una grandissima beva che va sicuramente incontro al gusto del consumatore attuale e che, per fortuna, grazie alle condizioni climatiche naturali di questo posto, riusciamo a mantenere, perchè, comunque, ripeto, l’alternanza del freddo al caldo per noi è ancora una certezza”.
Un progetto, quello della Nino Negri, che lega ancora di più viticoltura, agricoltura e montagna, e che è un spunto anche per riflettere sul rapporto tra uomo e montagna, come spiega ancora lo scrittore Paolo Cognetti. “La vita in montagna è una memoria del rapporto armonioso tra uomo e natura. Quello che stiamo vivendo oggi, questa crisi ambientale tremenda, è anche il segno di una spaccatura crescente tra l’uomo e la terra. Dovremmo imparare dalla memoria contadina - spiega Cognetti - in cui questo rapporto era armonioso, era un prelevare dalla natura senza distruggerla, anzi, prendendosene cura. A me sembra che via via disimpariamo a farlo, la terra la sfruttiamo sempre di più senza badare tanto a quello che lasciamo. Ma l’agricoltura, dove sopravvive, o dove si riesce a valorizzare di nuovo, è una delle vie migliore per ritrovare quell’armonia perduta”.
Visione che trova rappresentazione viva e fisica nei vigneti di montagna. “La vita sulle Alpi, per lo meno da quando ci sono arrivati i Romani, da 2000 anni, è “percorsa” dalla coltivazione della vite. Se vai nelle nostre valli alpine, uno dei primi segni che vedi sono i terrazzamenti, i vigneti. Un effetto collaterale del cambiamento climatico - riflette ancora Cognetti - è che l’agricoltura si spinge sempre più in alto. Ho amici che hanno orti a 2000 metri di altezza. La vite in Valle d’Aosta, che è una Regione calda e secca, per lo meno dove abito io, si spinge a 1.300 metri. Perlomeno, questa è una possibilità, nei tempi che stiamo vivendo. Il futuro della montagna è senz’altro il turismo, che è l’economia privilegiata, ma abbiamo già visto durante il Covid che dove questa diventa l’unica economia, gli effetti sono disastrosi. Perché turismo significa passare, sfruttare e andarsene. Agricoltura significa restare, conoscere il territorio, prendersene cura, pensare al futuro, non solo a quello dell’anno prossimo. Chi pianta una vite pensa a cosa succederà lì tra 10, 20, 30 anni, e per questo ha una visione più virtuosa”.

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