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SOSTENIBILITÀ

Montecucco, un territorio vocato alla viticoltura sostenibile, dove l’82% delle uve è bio

L’Amiata su un lato, il Tirreno sull’altro, terreni ricchi e vignaioli “nati” sull’onda del biologico: la modernità di una denominazione toscana

Protetto e abbracciato dall’Amiata su un lato, spazzato dalla brezza marina che arriva dal Tirreno sull’altro, il Montecucco è un territorio fortunato, naturalmente vocato alla viticoltura sostenibile. Denominazione giovane, sorta solo nel 1998, quando il tema della sensibilità ambientale stava facendosi largo nel mondo del vino, ha saputo declinare al meglio il momento, sfruttando, oltre alla magnanimità del suo microclima, terreni non coltivati o abbandonati, dove la vite, perlopiù di Sangiovese, ha trovato la ricchezza di cui aveva bisogno. Non è un caso, quindi, che oggi l’85% della produzione dei vignaioli del Montecucco sia certificato bio, e il 2% sia in conversione, come rivela il lavoro di ricerca e raccolta dati portato avanti negli scorsi mesi dal Consorzio del Montecucco su un campione di 30 aziende. Del resto, qui, tra i comuni di Arcidosso, Campagnatico, Castel del Piano, Cinigiano, Civitella Paganico, Roccalbegna e Seggiano, molte cantine non hanno nemmeno mai visto un momento di conversione al bio, ma hanno preso subito questa direzione, sin dalla loro fondazione.

L’integrità del Montecucco, però, non si limita ai vigneti, ma riguarda anche originalità del territorio, rispetto della biodiversità, pratiche agronomiche in armonia con l’ambiente, studi e ricerche volte al miglioramento e all’innovazione, fondamentali per raggiungere risultati virtuosi e obiettivi futuri ancora più ambiziosi, attraverso metodi ecocompatibili di controllo delle avversità, a partire dall’utilizzo di mezzi biologici e non chimici, e dalle buone pratiche agronomiche. Le aziende del Montecucco, infatti, sono in prima linea nella promozione di studi e progetti di ricerca per l’innovazione in ecosostenibilità ambientale, come il programma Organic Wine, insieme all’Università di Firenze, che ha come obiettivo principale il miglioramento delle pratiche colturali attraverso l’implementazione di soluzioni tecnologiche secondo i criteri dell’agricoltura di precisione per una minore dispersione nell’ambiente; o ancora Biopass (Biodiversità, paesaggio, ambiente, suolo, società), realizzato con il gruppo Agronomi Sata e in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali dell’Università di Milano e la Fondazione Edmund Mach di S. Michele all’Adige, di cui Tenuta L’Impostino si fa da qualche anno portavoce, volto ad analizzare la biodiversità e la vitalità del suolo e delle sostanze organiche in esso contenute.

“Il lavoro pulito in vigna e in cantina è proprio nel Dna di questo territorio”, commenta Giovan Battista Basile, alla guida del Consorzio e primo produttore a dare il buon esempio sulla via della sostenibilità ambientale. “I risultati di questa indagine, che ci ha impegnato molto negli ultimi mesi, ci porta non solo ad avere un riconoscimento di territorio ecosostenibile, ma ci incentiva a fare sempre meglio, considerato anche il numero di aziende attualmente in conversione: l’obiettivo è avere il 100% di produzione biologica. Il nostro territorio è naturalmente vocato alla sostenibilità, e siamo certi di poter ottenere risultati ancora migliori di questi. Il mio impegno come azienda parte naturalmente dalle buone pratiche agronomiche, come la lotta biologica e l’utilizzo di prodotti naturali per favorire una maggior resistenza della vite, come l’utilizzo di un’alga della costa atlantica del Canada dalle proprietà benefiche, agli impianti fotovoltaici in cantina e alla bioedilizia”.

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