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CEREALI

Mosca dice stop all’accordo sul grano. Una decisione che avrà un impatto anche sull’Italia 

L’intesa è cruciale per scongiurare una crisi alimentare mondiale. Confagricoltura: favorite instabilità e speculazione 

Non sarà rinnovato, da parte della Russia, l’accordo sul grano proveniente dall’Ucraina, che prevedeva l’export in sicurezza attraverso il Mar Nero: l’intesa, che scade oggi, era stata firmata nel 2022 grazie al ruolo di mediazione svolto da Nazioni Unite e Turchia. L’annuncio è stato dato questa mattina da un portavoce del Cremlino, secondo cui Mosca ha notificato la decisione a Turchia, Ucraina e Onu. Per la Russia l’accordo non sarà rinnovato fino a quando non “saranno soddisfatte tutte le condizioni”; in particolare, Mosca si riferisce al fatto che non siano stati rimossi gli “ostacoli” alle esportazioni russe di cereali e fertilizzanti. Ad oggi l’accordo aveva consentito l’esportazione via mare di oltre 30 milioni di tonnellate di cereali e semi oleosi prodotti in Ucraina, destinati per il 25% alla Cina.
 “La decisione presa a Mosca fa salire l’instabilità sui mercati internazionali e favorisce la speculazione. La Federazione Russa continua ad utilizzare il cibo come un’arma e strumento di pressione per allentare le sanzioni” è il commento del presidente Confagricoltura, Massimiliano Giansanti. A questo punto, secondo Confagricoltura, è da mettere in preventivo un rialzo dei prezzi delle commodities che, secondo l’indice della Fao, sono in costante diminuzione da un anno, rispetto al picco raggiunto nel marzo 2022. Va comunque segnalato che, sul piano delle scorte globali, la situazione è diversa da quella in essere nel luglio 2022, quando l’accordo fu sottoscritto. Allora, ad esempio, le giacenze di mais erano al minimo da 6 anni; ora, stando alle previsioni del Dipartimento di Stato Usa all’Agricoltura, si attesteranno a fine campagna 2023-2024 sul livello più elevato da 5 anni. Anche le scorte di grano sono previste in crescita. C’è, però, un altro aspetto da evidenziare. “Il mancato rinnovo dell’accordo - rileva Giansanti - può avere come conseguenza anche un aumento dei flussi di prodotti ucraini sul mercato europeo, con il risultato di innescare ulteriori pressioni al ribasso delle quotazioni. Per il grano tenero già scontiamo in Italia un taglio del 30% sui prezzi del 2022”.
Per effetto della sospensione dei dazi doganali decisa dalla Unione Europea in giugno 2023, dagli ultimi dati diffusi dalla Commissione risulta che le importazioni di prodotti agroalimentari dall’Ucraina sono aumentate del 60% nel primo trimestre 2023, sullo stesso periodo del 2022. Per i cereali, l’aumento è stato di 920 milioni di euro, seguono semi oleosi e colture proteiche, con 550 milioni. “Alla luce di questi dati, nel giro di un anno, l’Ucraina è diventata il secondo fornitore di prodotti agroalimentari della Unione Europea” evidenzia il presidente Confagricoltura. Da ricordare, infine, che, per limitare l’impatto provocato dal forte aumento degli arrivi dall’Ucraina, la Ue ha deciso in via eccezionale, fino al 15 settembre, il blocco delle importazioni di grano, mais, colza e semi di girasole in 5 Stati membri (Bulgaria, Ungheria, Polonia, Romania e Slovacchia). E’ consentito solo il transito verso altre destinazioni nella Ue o fuori dall’Unione.
Secondo Coldiretti, con la mancata proroga dell’accordo verranno a mancare dai mercati mondiali ben 32,8 milioni di tonnellate di grano, mais e olio di girasole, che sono partiti dai porti ucraini del Mar Nero nell’anno di attuazione dell’intesa: emerge dall’analisi Coldiretti, sulla base dei dati del Centro Studi Divulga, sull’impatto dello stop al patto Onu tra Ucraina, Turchia e Russia, sul transito delle merci nei tre porti sul mar Nero di Chornomorsk, Yuzhny e Odessa. Una decisione,  sottolinea Coldiretti, destinata a sconvolgere i mercati mondiali per il peso della produzione cerealicola dell’Ucraina. A beneficiare dell’accordo sono state nell’ordine la Cina (24%), la Spagna (18%), la Turchia (10%) e l’Italia (6%). Ma l’intesa è stata importante anche per fronteggiare il pericolo carestia in ben quei 53 Paesi, dove secondo l’Onu, la popolazione spende almeno il 60% del proprio reddito per l’alimentazione. Un pericolo quindi anche per la stabilità politica proprio mentre, conclude Coldiretti, si moltiplicano le tensioni sociali ed i flussi migratori, anche verso l’Italia.

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