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NELL’ITALIA DELLA “IPERBUROCRAZIA”, FINANZIAMENTI EUROPEI PER L’AGRICOLTURA SONO FINTI, CON L’OK DI AGEA E MINISTERO, A MAFIOSI O LORO PARENTI. E SOLO ORA LA CORTE DEI CONTI LI HA RICHIESTI. L’INCHIESTA DI SERGIO RIZZO SUL “CORRIERE DELLA SERA”

Una vicenda che ha dell’incredibile: nell’Italia della iperburocrazia e dei mille controlli (e controllori), delle decine e decine di certificati e documenti richiesti a chi vuol fare impresa onestamente, il fratello del boss Totò Riina, Gaetano Riina, ha presentato, alle istituzioni del caso, domanda per i finanziamenti europei in agricoltura, “omettendo peraltro di produrre la certificazione antimafia”, e li ha pure ottenuti. Oggi la Corte dei Conti, come scrive Sergio Rizzo sul “Corriere della Sera”, ha condannato Gaetano Riina, fratello del “Capo dei Capi di Cosanostra” a restituire solo 25.328 euro sui 42.214 erogati dall’Agea, perché “nel causare il danno erariale complessivo ha inciso pesantemente anche l’amministrazione erogatrice del contributo, che ha sostanzialmente omesso i controlli di competenza in ordine alla regolarità e alla ammissibilità delle istanze presentate dall’interessato”. Il tutto perché, secondo legge, i contributi Ue, ricorda Rizzo, “non possono essere erogati né a chi è sottoposto a misure di prevenzione come la sorveglianza speciale di polizia (ed è questo il caso), né a chi abbia subito una condanna in appello per associazione mafiosa, senza aver ottenuto una successiva riabilitazione”.

Ma esistono tanti altri casi simili a quello di Riina, ricorda il giornalista celebre, fra l’altro, per il libro “La Casta” scritto con Gian Antonio Stella: da Giuseppe Spera, fratello di Benedetto Spera, uno degli uomini più fidati di Bernardo Provenzano, morto in carcere nel 2007 (le sue domande di accesso ai fondi agricoli europei erano state infatti presentate attraverso un’associazione di categoria. Ma anche allora nessuno aveva fatto poi le necessarie verifiche. E qualche mese fa i giudici contabili hanno sentenziato che i suoi eredi dovranno rimborsare all’Agea 38.593 euro di contributi indebitamente incassati fra il 1997 e il 2002), a “Biagio Mamone - scrive Rizzo - condannato in via definitiva a otto anni per associazione mafiosa e concorso in estorsione nel lontano 1985, aveva percepito fino al 2009 i denari del fondo europeo. 11.000 euro in tutto, che se la decisione di primo grado sarà confermata, dovrà adesso rendere al Ministero. Negli stessi giorni, in Calabria, la Corte dei conti chiedeva al settantatreenne Antonio Piromalli la restituzione di 25.720 euro. Soldi incassati per le campagne olivi cole sebbene il “coltivatore” hanno sottolineato i magistrati, fosse stato sottoposto per cinque anni al soggiorno obbligato. Va ricordato che non sempre si parla di cifre modeste. Qualche anno fa la Guardia di Finanza di Capo d’Orlando ha scoperto che un allevatore sottoposto a sorveglianza speciale aveva intascato quasi 250.000 euro di contributi nel quattro anni precedenti. Senza poi considerare che molti di questi illeciti finiscono in prescrizione. Tre anni fa se l’è cavata così Alberto Campo, condannato nel 1994 per associazione mafiosa che, nonostante questo, aveva continuato a percepire i contributi che spettano ai marittimi imbarcati sui pescherecci: in tutto 120 milioni di vecchie lire. Peccato, ha stigmatizzato la sentenza, che per nove anni, dal 1999 al momento in cui si è messa in azione la Corte dei conti, nel 2008, non sia stato “mai notificato alcun atto interruttivo della prescrizione”. Eppure, affermano i giudici, non era difficile: “sia la capitaneria di porto di.000zzo, che aveva istruito la pratica per la concessione delle indennità, sia il ministero dell’Agricoltura, che ordinò la corresponsione dei benefici, sia la stessa Guardia di finanza, avrebbero potuto acquisire in qualsiasi momento il certificato del casellario giudiziale...”.

Tanti, troppi casi, per cui la domanda di Rizzo, che facciano nostra, nasce spontanea: all’Agea e al Ministero chi controllava queste cose? Ci voleva che arrivasse, anni dopo, la Corte dei Conti?

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