New York è la città che non dorme mai, come cantava Frank Sinatra, e in una città che non dorme mai si mangia sempre e ovunque. Dai chioschi ambulanti degli hot dog ai ristoranti stellati Michelin, nel 2019 la città contava 23.650 indirizzi in cui fermarsi per una ciambella o per un menu da sette portate, in crescita del 44% dal 2009. Un panorama stravolto dalla pandemia di Covid-19, che da marzo 2020 ha costretto alla chiusura o al ridimensionamento bar e ristoranti, alle prese con lockdown, distanziamento sociale e misure sanitarie che hanno impattato sulla vita di tutti i giorni. Per capire l’importanza del settore sull’economia della città di New York, basti pensare che l’8,1% dei posti di lavoro nel settore privato, nel 2019, erano legati alla ristorazione, che rappresentava l’8,7% delle imprese, come raccontano i dati di “Wine Analytics”. Il 77% dei posti di lavoro era legato a ristoranti, fast food e caffè, il 5% ai bar e il resto a snack bar, buffet e catering. Un caleidoscopio di locali, perlopiù di piccole dimensioni: l’80% dei ristoranti della Grande Mela, infatti, ha meno di 20 dipendenti, e solo l’1% ne ha più di 500.
Nel febbraio del 2020, quando la pandemia si affacciava in Italia, per poi colpire l’intera Europa, a New York la ristorazione dava lavoro a 315.000 persone. Ad aprile, quando il Covid-19 ha raggiunto gli Stati Uniti, facendo proprio di New York il centro del contagio, l’occupazione nel settore è crollata a 91.000 posti di lavoro, per risalire, con l’allentamento delle regole e la possibilità d mangiare fuori, fino a 174.000 posti di lavoro ad agosto. Durante il lockdown, i ristoranti rimasti aperti hanno registrato, tra il 10 e il 22 marzo, un calo delle vendite dell’81%. Peggio è andata ai bar della City, che hanno segnato, nello stesso periodo, un calo del 94%. Dall’inizio della pandemia, quindi, molti ristoranti hanno esplorato nuovi modelli di business per generare entrate, dal semplice take away ai menu gourmet da cucinare a casa, mentre alcuni, finanziati da privati e associazioni, sono diventati banchi alimentari. Sulla falsariga di quanto abbiamo visto in Italia, la città di New York ha lanciato due iniziative, “Open Restaurants” e “Open Streets”, per garantire maggiori spazi all’aperto alla gente e ai ristoranti. Programmi pensati per l’estate, ma che sono stati poi confermati per l’autunno e per l’inverno.
Non tutti, però, hanno beneficiato, per scelta o possibilità, di questa opportunità. Dei 15 ristoranti a due e tre stelle Michelin, ad esempio, solo due consentono di mangiare all’aperto, otto lavorano solo per asporto e consegna a domicilio, e cinque sono rimasti chiusi. I ristoranti, così, sono la cartina tornasole della città, una delle chiavi che rendono New York una metropoli mondiale, la definiscono e rendono unici e tipici i suoi quartieri, la raccontano come destinazione turistica e centro nevralgico degli affari internazionali, ma anche e soprattutto come città dalla ricca e multiforme identità culturale, figlia della migrazione dell’uomo. Tutti elementi vitali per la città e la sua economia. La pandemia, come detto, ha colpito il settore come mai era successo prima, impattando sul lavoro e sul reddito delle persone, sui ristoratori, sugli avventori e sui quartieri di New York che, seguendo rigidi protocolli, stanno adesso provando a restituire la città alla normalità.
Una normalità a cui aspira, ovviamente, il vino italiano, che in Usa ha un mercato privilegiato, e in New York la città d’elezione, la cui case history è simbolica e ben racconta lo stato dell’arte del settore Oltreoceano. Non si contano i ristoranti italiani, nati nel corso dei decenni dalla grande comunità italo americana della città, e oggi ovunque, non solo a Little Italy. E, soprattutto, di ogni genere, non solo pizzerie, ma anche tante tavole gourmet, dove scorrono litri di bollicine. Nelle carte dei vini, ovviamente, vince il Prosecco, servito nell’83% dei ristoranti italiani della città. Seguono Champagne (73%) e altri sparkling italiani (62%). Quindi, Lambrusco (44%), bollicine francesi (16%), sparkling americani (13%), Cava (8%), Cremant della Loira (8%), di Borgogna (5%)n e di Languedoc (3%) e Asti (3%).
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