Nel 2019, le concentrazioni atmosferiche di Co2 erano le più alte degli ultimi 2 milioni di anni e quelle dei principali gas serra (metano e biossido di azoto) le più elevate degli ultimi 800.000 anni; negli ultimi 50 anni la temperatura della Terra è cresciuta a una velocità che non ha uguali negli ultimi 2000 anni; l’aumento medio del livello del mare è cresciuto a una velocità mai vista negli ultimi 3000 anni. È l’ultimo allarme lanciato dal Gruppo Intergovernativo di Scienziati del Cambiamento Climatico (Ipcc) e contenuto nel primo dei tre volumi - approvato dai 195 Paesi dell’Onu - del sesto Assessment Report, elaborato dal Working Group I, che sarà pubblicato nel 2022.
L’ultimo rapporto sul clima “Cambiamenti climatici 2021 - Le basi fisico-scientifiche”, “deve suonare una campana a morto per il carbone e i combustibili fossili, prima che distruggano il nostro pianeta”, commenta il Segretario generale dell’Onu Antonio Guterres. Senza profondi tagli immediati delle emissioni, l’obiettivo di un riscaldamento globale non superiore ai 1,5 gradi Celsius “sarà rapidamente fuori portata. L’odierno Rapporto è un codice rosso per l’umanità. I campanelli d’allarme sono assordanti e le prove sono inconfutabili: le emissioni di gas serra dovute alla combustione di combustibili fossili e alla deforestazione stanno soffocando il nostro pianeta e mettendo a rischio immediato miliardi di persone”, ha aggiunto Guterres.
Gli studiosi, fra cui ci sono tre italiani del Cnr, affermano che il Climate Change riguarda ogni area della Terra e tutto il sistema climatico, e avvertono che forti e costanti riduzioni di emissioni di Co2 e di altri gas serra sono ancora possibili e in grado di limitare i disastri provocati dai cambiamenti climatici a cui stiamo assistendo in alcune parti del mondo. Il richiamo è ancora una volta al drastico e immediato taglio dei gas serra per abbassare la febbre del pianeta, in particolare della Co2 che permane nell’atmosfera per centinaia di anni. Durante i lockdown causati dalla pandemia, infatti, nonostante la riduzione globale del 7% dell’anidride carbonica non c’è stato alcun effetto apprezzabile sulla temperatura della Terra.
Il continuo aumento del livello del mare è uno dei fenomeni dei cambiamenti climatici già in atto, “irreversibili in centinaia o migliaia di anni”, dicono gli scienziati del Gruppo di lavoro 1 dell’Ipcc nel rapporto. Per le aree costiere ci si attende un continuo aumento del livello del mare per tutto il XXI secolo che potrebbe portare inondazioni più frequenti e gravi e all’erosione delle coste. Eventi estremi riferiti al livello del mare che prima si verificavano una volta ogni 100 anni, entro la fine di questo secolo potrebbero verificarsi ogni anno, avvertono gli scienziati.
Il rapporto parla di un riscaldamento che procede molto velocemente e fornisce nuove stime sulle possibilità di superare il livello di Global Warming di 1,5 gradi centigradi nei prossimi decenni. A meno che non ci siano riduzioni immediate, rapide e su larga scala delle emissioni di gas serra, limitare il riscaldamento a circa 1,5 o addirittura 2 gradi centigradi sarà un obiettivo fuori da ogni portata. Lo studio mostra che le emissioni di gas serra provenienti dalle attività umane sono responsabili di circa 1,1 gradi di riscaldamento rispetto al periodo 1850-1900. Mediamente nei prossimi 20 anni, la temperatura globale dovrebbe raggiungere o superare 1,5 gradi di riscaldamento.
Intanto, in Italia, dall’inizio dell’anno, sono bruciati 102.933 ettari di terreno, un’area grande quanto 140.000 campi da calcio: il quadruplo rispetto ai 28.479 ettari arsi, in media, ogni anno dal 2008 al 2020. Finora nella Penisola sono scoppiati 393 incendi di grandi dimensioni (oltre i 30 ettari), contro una media di 224 nel periodo 2008-2020. A dare i numeri è l’European forest fire information system (Effis) della Commissione europea: rivela che l’Ue sta bruciando a un ritmo doppio rispetto agli anni scorsi
Non è affatto un caso che, tra le regioni che pagheranno il conto più salato al riscaldamento climatico, c’è il bacino del Mediterraneo: secondo il modello dell’Ipcc, nel Sud del Belpaese le temperature potrebbero crescere di 2 gradi, con le precipitazioni, già scarse oggi, in calo del 20%. I presupposti, drammatici, per l’avanzata, dalla Sicilia, della desertificazione, ma anche per gli incendi, che in queste settimane, dalla Sardegna alla Grecia, sono tornati a devastare decine di migliaia di ettari di boschi e campi. Frenare l’avanzata delle emissioni di gas serra,e limitare così il riscaldamento, diventa così sempre più urgente, ma anche più difficile ogni giorno che passa. Ma cosa accadrebbe, se non si riuscisse nell’obiettivo di di contenere sotto la soglia dei 2 gradi il riscaldamento medio? Il bacino del Mediterraneo, come racconta lo studio “Ecosystem Services provision by Mediterranean forests will be compromised above 2º C warming”, pubblicato dal “Global Change Biology” e condotto da Alejandra Morán-Ordóñez, ricercatrice del Creaf ed associata del Forest Science and Technology Centre of Catalonia, e Aitor Ameztegui, ricercatore dell’Università di Lleida, ne uscirebbe devastato.
Persino piante abituate alla siccità e al caldo, come il leccio o il pino bianco, farebbero fatica a sopravvivere. Se la temperatura salisse sopra i 2 gradi, gli indicatori di incendio e altri rischi legati al clima aumenterebbero del 64% nei territorio del bacino del Mediterraneo. Gli indicatori utilizzati per ottenere questa percentuale includono il Fire Weather Index, il numero di ettari bruciati, il numero di giorni con alto rischio di incendio, il numero di giorni con siccità prolungata e altri rischi legati al clima.
“Potremmo arrivare al punto - spiega Morán-Ordóñez - in cui la macchia mediterranea potrebbe assorbire una buona parte dell’acqua disponibile, lasciando a secco i fiumi ed i corsi d’acqua in generale, con il rischio di vedere morire interi ecosistemi fluviali, ma anche con limiti enormi all’accesso all’acqua all’uomo ed alle sue attività”. A partire, ovviamente, dall’attività agricola e, va da sé, dalla viticoltura, perché per quanto la vite si sappia adattare alle rigidità dell’inverno come alle botte di calore dell’estate, con un aumento di due gradi delle temperature medie durante l’arco dell’anno anche la vite avrebbe vita dura. Per non parlare del dato più interessante emerso, ossia il pericolo di incendi che cresce del 64%: in California, come vediamo ogni anno, è una minaccia costante e non di poco conto, che ha ricadute economiche e sociali enormi. Tanto che, come abbiamo scritto qualche tempo fa, la Napa County ha pianificato un investimento di 42,5 milioni di dollari per ridurre i rischi e salvare (anche) le tante aziende del vino del territorio.
Tornando tra i filari, in Italia e Francia è già tempo di bilanci e previsioni, al netto di eventuali cataclismi, quasi definitive, sulla prossima vendemmia, che deve fare ovviamente i conti con un andamento stagionale tutt’altro che semplice. Nel Belpaese, come racconta il report, Regione e Regione, di Assoenologi, Ismea e Uiv, al Centro-Nord, i ritardi nella fioritura determineranno un ritardo della raccolta di una settimana, a causa delle anomalie termiche negative registrate nei mesi di aprile e maggio.
Momento cruciale dell’annata sono state, in senso negativo, le gelate della settimana subito dopo Pasqua del 7, 8 e 15 aprile, con minime scese anche oltre i 4 gradi sotto zero: i danni sono inizialmente apparsi molto importanti, poi alcuni vigneti, dove lo stato vegetativo era ancora all’inizio, hanno ripreso in modo abbastanza regolare, ma a livello produttivo ci sono differenze non solo da zona a zona, ma anche da vigneto a vigneto. In molte aree colpite - dalla Toscana alla Sardegna, dall’Umbria alle Regioni del versante Adriatico fino al Foggiano - i danni sono stati importanti e non hanno permesso una nuova germogliazione, mentre in altre le perdite sono state parzialmente riassorbite.
Qualche ulteriore problema è legato all’altalenante andamento climatico di giugno e luglio, quando si sono verificati importanti fenomeni temporaleschi, accompagnati da grandinate eccezionali, in particolare nel Nord Est. Allo stesso tempo, il Centro Italia sta facendo i conti con scarse risorse idriche e picchi eccezionali di temperature, soprattutto in Toscana, ma anche al Sud, specie nel Salento. Insomma, un mix di problematiche che hanno ridotto le aspettative produttive, sebbene sia ancora prematuro dare indicazioni quantitative, come ha fatto, invece, la Francia. Dove, secondo le stime del Ministero dell’Agricoltura, le quantità sono previste in calo del 19%-36% sulla media degli ultimi cinque anni. Ricordando che queste prime stime vanno prese con cautela, il Ministero anticipa in una nota (pubblicata dal portale di “Vitisphere”) che “secondo le stime stabilite l’1 agosto 2021, la produzione di vino sarebbe compresa tra 32,6 e 35,6 milioni di ettolitri nel 2021, ovvero un livello da 24 a 30 % inferiore a quella del 2020”. Sono previsti tra i 14 e i 15,5 milioni di ettolitri di vini Dop (dal -19% al -26% rispetto al 2020), 8,9-9,7 milioni di ettolitri di vini Igp (dal -28% al -34%), 7,7-8,4 milioni di ettolitri di vini destinati alla distillazione (dal -22% al -28%). Complessivamente le rese previste nel 2021 sarebbero più vicine a quelle del 1977, “anno in cui la vendemmia fu ridotta dal gelo e dalle precipitazioni estive”.
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