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Panorama / Economy

Il rendimento finisce in cantina. Acquistare prima dell’imbottigliamento con un contratto future. Oppure sottoscrivere delle obbligazioni con il warrant. Altri strumenti non esistono, perché in Italia non ci sono società quotate e neanche fondi di investimento. Ma entro la fine del 2003 forse qualcosa cambierà … Fare un brindisi con una buona bottiglia di spumante può dare piacere non solo al palato, ma anche al portafoglio. L’importante è saper scegliere l’annata giusta e il produttore serio, due ingredienti fondamentali per rendere il vino un investimento a basso rischio. E aggiungere, poi, un tocco di esperienza nel mondo della finanza che, negli ultimi anni, si è avvicinata sempre di più al settore. Anche Borsa Italiana si sta interessando al vino, tanto che Piazza Affari ha deciso di fare il punto per capire quali sono, per investitori e operatori del ramo, le possibilità di crescita attraverso il mercato di capitali e quali le prospettive in termini di prodotto, E un dato emerge chiaramento: sulla solidità della domanda non ci sono dubbi. Gli analisti, infatti, parlano di una crescita del 30% dei consumi per i prossimi 5 anni. Ma chi vuole puntare sul nettare degli dei come può fare? Negli strumenti di investimento il lavoro da fare è ancora molto. Fino ad oggi, infatti, in Italia esistono solo due modalità finanziarie per impegnare il proprio denaro nel vino: acquistarne in buone quantità prima dell’imbottigliamento a un prezzo inferiore a quello della futura vendita, il cosiddetto future, o sottoscrivere obbligazioni a cui viene agganciato un diritto di acquisto, ovvero un warrant. Mentre il primo è un prodotto più indicato per gli investitori professionali, il secondo è più tagliato sulle esigenze dei privati che vogliono comprare bottiglie di vino e assicurarsi un margine di guadagno nel tempo. Puù complesso l’acquisto di azioni - i titoli quotati del settore sono tutti stranieri (australiani, americani e inglesi) - e di fondi specializzati nel settore, tutti esteri.

Più semplice con il warrant. Per gli investitori privati il modo più sicuro è quello di sottoscrivere un prestito obbligazionario a cui è agganciata l’opzione di acquisto (warrant) delle bottiglie a un prezzo inferiore a quello di mercato. Oltre a garantire una cedola fissa, queste obbligazioni alla scadenza danno la possibilità di esercitare il diritto di acquisto delle bottiglie di vino. Questo significa che chi possiede l’obbligazione con il warrent ha in mano una garanzia di guadagno dato dalla differenza tra le due quotazioni delle bottiglie. Ma come si fa a essere sicuri che il prezzo sia giusto? Le aziende vinicole sono obbligate a pubblicare un listino e a non vendere i propri beni a un costo inferiore a quello dichiarato. Ma la cifra non si può quantificare a priori. “E’ il limite di questi prodotti” spiegano da Mediobanca. “Per sapere quanto si sta guadagnando bisogna aspettare che il bene venga messo in vendita”.

Ma non c’è mercato ufficiale. In alcuni casi, secondo i dati riferiti da Mediobanca, il rendimento di questi titoli è arrivato anche al 16%, ma non si può stilare una graduatoria o fare confronti. In più esiste un mercato ufficiale ed è difficile crearne uno secondario. “Sono prodotti atipici per cui Bankitalia non ha ancora autorizzato l’emissione: chi li cerca deve andare all’estero” sottolineano da Mediobanca. Da quando l’istituto milanese emise i primi due prestiti obbligazionari con warrant (il primo nel 1995-96 per Antinori, il secondo nel 1996-97 per Frescobaldi), sono stati pochi i tentativi di imitazione. Oggi, il mercato è abbastanza povero. Sono prodotti di nicchia e legati alla qualità dell’annata.

Future, la consulenza costa l’1%. Con il future, invece, si acquista una quantità di vino prima della fase di imbottigliamento. Chi offre il vino, in questo caso l’azienda produttrice, vende una serie di bottiglie con l’impegno di consegnarle in un tempo successivo (di solito due o tre anni). Chi acquista, invece, paga subito e aspetta. Il certificato del contratto a termine può essere visto anche come puro investimento finanziario.

Ma anche in questo caso il mercato secondario non esiste e la possibilità di rivendere prima della scadenza è remota. Per questo il future è stato sostituito dai produttori di vino con la vendita “en primeur”: si vendono semplicemente bottiglie pagate oggi il 10-15% in meno rispetto al valore che avranno tra 2-3 anni. La scelta è difficile. Bisogna sapere oggi quale sarà il vino buono di domani. Ed è sempre meglio consultare le quotazioni che compaiono nelle guide o nelle riviste specializzate (come Wine spectator, Decanter, Wine Advocate), o fare riferimento alle aste (Christie’s e Sotheby’s). Ma ci si può affidare anche ai consigli di esperti come Christian Roger della società Vino e finanza. In questo caso la consulenza costa l’1% dell’investimento calcolato al momento dell’acquisto (per avere dei risultati significativi bisogna impiegare almeno 20 mila euro).
Il fondo arriverà presto. In Italia non ci sono fondi specializzati che investono in società vinicole, operativi soprattutto in Australia (Australian Wine & Horticulture Fund e International wine intestiment fund). Ma la società milanese WineTip lavora al lancio entro fine anno di un fondo comune d’investimento aperto specializzato in società vinicole italiane. Ma è ancora un progetto. Per puntare direttamente sulle aziende l’unica via è la Borsa. I titoli quotati sono stranieri. A trainare il comparto ci sono gli Stati Uniti e i Paesi mediorientali. In chi credere? Tra tutti spiccano le statunitensi Constellation brand (giudicata da Standard and Poor’s miglior titolo americano del settore) e la Robert Mondavi, l’inglese Allied Domecq e l’australiana McGuigan. (arretrato di "Panorama - Economy" del 7 novembre 2003).

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