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Panorama / Economy

I falsari li fermo con l’high-tech ... Ologrammi, calcografie e termografie. Ma anche chip per l’identificazione automatica dei prodotti. Sono le nuove soluzioni adottate dalle aziende italiane contro un fenomeno dilagante. E sono tutte made in Italy. Alimentari & contraffazione: il boom dl sequestri per cibi e alcolici non basta a bloccare il fenomeno... Sicurezza alimentare a rischio. I dati 2006 sui sequestri di materiale contraffatto fatti alle 25 dogane dell’Unione europea sono allarmanti: dopo l’abbigliamento e gli accessori, il segmento da sempre più frequentato dai falsari, oggi è il settore cibo e alcolici ad aver registrato l’impennata maggiore sul fronte delle confische. Con un tasso di crescita, in un solo anno, pari al 118% per un totale di 5,2 milioni di prodotti intercettati. Una vera e propria emergenza, insomma, che mette a rischio la salute dei consumatori. Da qui la corsa innescata dall’industria all’adozione di tecniche di anticontraffazione all’avanguardia. E il conseguente proliferare di aziende, perlopiù made in Italy, in grado di fornire soluzioni chiavi in mano.
Si va dalla Carlo Gasperini di Prato alla Aconcagua di Campagnola Emilia, in provincia di Reggio Emilia, dalla Solos di Scandicci, nei pressi di Firenze, alla Holo3D di Trieste. A queste imprese si deve, per esempio, l’idea di inserire ologrammi nelle etichette e negli imballaggi di nuova generazione. Si tratta di immagini a colori che cambiano a seconda dell’angolo visuale e che, in alcuni casi, contengono scritte nascoste leggibili solo con strumenti specifici come lenti o laser particolari. La loro imitazione, assicurano gli addetti ai lavori, è pressoché impossibile. Lo stesso discorso vale per le più comuni calcografie e termografie. Nel primo caso, è la combinazione di segni grafici finemente incisi e di inchiostri otticodifrattivi a garantire la sicurezza del prodotto. Tant’è che vi si ricorre anche nella stampa delle banconote, in quella dei titoli di credito o dei francobolli. Nel secondo caso, invece, a prevalere sono le polveri «perlescenti», che assicurano all’inchiostro stesso una tonalità di colore unica e irriproducibile.
«L’etichetta hi-tech, però, non è l’unica soluzione» assicura a Economy Giovanni Geddes da Filicaia, amministratore delegato della Tenuta dell’Ornellaia, del gruppo Frescobaldi: «Le nostre bottiglie di vino, per esempio, riportano in rilievo il nome del prodotto acquistato. Si tratta di una soluzione apparentemente banale, ma efficace. Anche per i consumatori finali: capiscono subito se si tratta o meno di un falso».
Un numero sempre più ampio di aziende, anche in campo alimentare, adottano tecniche di anticontraffazione tipiche del mondo informatico. Come il chip «Rfid» (radio frequency identification) per l’identificazione automatica delle merci. Tra i primi a lanciarlo, in Italia, è stato il Consorzio del prosciutto di San Daniele che, alla fine del 2006, ha messo in vendita esemplari con sigilli elettronici applicati sulla cotenna. «All’interno sono riportati tutti i dati relativi al singolo prosciutto: data e luogo di nascita, allevamento e macellazione del maiale, inizio e fine della lavorazione» racconta Mario Cichetti, direttore del Consorzio. «Entro il 2007 contiamo di poter dotare di questa tecnologia l’intera filiera, che conta 2,6 milioni di prodotti l’anno». La dead line per inserire il microchip nel Parmigiano Reggiano, invece, non è ancora fissata; ma Marco Nocetti, responsabile del laboratorio di tecnologia applicata del Consorzio, assicura: «Siamo in avanzata fase di sperimentazione. Però dobbiamo tenere conto anche dei costi: ogni chip, oggi, costa circa 50 centesimi».

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