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Panorama / Economy

Bottiglie prodigiose ... Marchi affermati, etichette di gran nome, certificazione di qualità. Così i produttori campani conquistano il mondo. Grazie anche all’assistenza di consorzi dedicati e agli sforzi della regione. Un’industria di spirito. Il successo del business vitivinicolo... Sessanta nuove aziende in tre anni, massicci investimenti in comunicazione e una forte spinta per uscire dai confini regional-nazionali: così si presenta la «Campania del vino», una realtà in pieno fermento. Il 2007 si presenta come il primo vero anno di quell’auto-promozione intrapresa di comune accordo dalle aziende e dall’Ente Regionale di Sviluppo Agricolo, braccio operativo dell’Assessorato regionale all’Agricoltura.
La strategia punta su marketing e comunicazione e ruota intorno a due cardini: ristorazione di alta qualità e fiere di settore. La prima tappa è stata il grande appuntamento del Vinitaly, a fine marzo, dove la Regione si è presentata con uno stand progettato dall’architetto Gae Aulenti, La prossima sarà giocata in casa, a Napoli, dal 20 al 22 maggio. E contemporaneamente i vini del territorio saranno diffusi nei ristoranti d’alto livello di tutto il mondo.
Tutte queste attività sono il proseguimento di un cammino avviato negli anni Novanta, quando in Campania alcune famiglie di antica tradizione vitivinicola cominciarono a riconvertire migliaia di ettari a una coltivazione più consapevole della vite. Oggi la superficie agricola destinata alla viticoltura è di quasi 30 mila ettari (29.360 secondo il censimento agricolo del 2000) ed è suddivisa in cinque macroaree: Casertano, Flegrei Vesuvio e Penisola sorrentina, Cilento, Avellinese e Beneventano. Qui sono coltivati i cento vitigni autoctoni sui quali la Regione basa la propria forza: se, infatti, il vigneto campano rappresenta solo il 5% della superficie vitata italiana, quasi la metà dei vitigni autoctoni del Paese (350 nel complesso) si trova proprio in Campania.
La produzione punta su queste nicchie di qualità, che hanno portato tre Docg (Taurasi, Fiano e Greco di Tufo) e 18 Doc che rappresentano circa il 12% della produzione regionale, ma anche nove Igt che fanno un altro 12%.
La produzione complessiva ha di poco superato 1,8 milioni di ettolitri. Ma il dato interessante è che le aziende che lavorano con un marchio proprio sono passate dalle 176 del 2003 alle 236 del 2006. Si tratta per lo più di cantine di piccole dimensioni. Le aziende di tipo industriale rappresentano invece il 35% del totale delle cantine medio-grandi e si concentrano per lo più nella provincia di Napoli (53% del totale). Sono invece sei le cantine sociali: quattro nella provincia di Benevento, una in Irpinia e un’altra nel Salernitano.
Più export. La strategia ha come primo obiettivo l’aumento della quota di export, che secondo stime non ufficiali ammonta al 13% della produzione. “Europa, Stati Uniti e Canada rappresentano i mercati più importanti per i nostri produttori” conferma Chicco De Pasquale, presidente di VitignoItalia “ma stiamo organizzando alcuni eventi che li portino in giro per il mondo puntando sull’India e soprattutto sulla Cina, dove riteniamo che si potranno ottenere i maggiori risultati a breve termine data la diffusione della ristorazione di qualità. Parallelamente cureremo i mercati europei, con Germania e Inghilterra in testa, e quello canadese”.
A medio termine, invece, l’obiettivo della “Campania del vino” è il bacino del Mediterraneo. Primo passo sarà lo spazio, alla fiera VitignoItalia, dedicato alle cantine del Sud: Tunisia, Libano e Spagna. Ma c’è già nell’aria la prima edizione di Vitigno Italia made in Usa, con due tappe diverse, a San Francisco e a New York.

Cantina Terredora di Paolo - Così ho conquistato Wine Spectator...
I suoi avi cominciarono a dedicarsi al vino due secoli fa. Poi nel 1994 l’azienda della famiglia Mastroberardino si è gemmata in due realtà produttive. La prima, industriale, conserva il nome di famiglia, l’altra è più piccola, ha sede a Montefusco e si estende su 120 ettari più altri 30 gestiti per conto terzi. “Quando l’antica società si stava spaccando, io, mio fratello Lucio e mia sorella Daniela abbiamo deciso di non mollare e andare avanti differenziandoci attraverso produzioni minori d’alto livello, distribuendo soltanto nel canale ho.re.ca.”. La diversità è stata suggellata dando all’azienda sempre il nome di famiglia, ma materno: Terredora di Paolo, dove Dora è il nome della madre di Paolo Mastroberardino e Di Paolo è il suo cognome. La ricerca condotta sui vitigni autoctoni ha portato i vini della società in giro per il mondo e ha fruttato i riconoscimenti della rivista Wine Spectator.

Azienda agricola Porto di Mola - Una fermentazione con lieviti “indigeni”...
Si è fatta pioniera dell’enologia del non intervento, l’azienda agricola Porto di Mola. Il proprietario, Antimo Esposito, ha affidato le sue varietà di Aglianico, Falanghina e Greco di Tufo alla tecnica concepita dall’enologo Maurizio de Simone, che l’ha concretizzata grazie alla collaborazione con l’Università di Portici: la fermentazione del vino è completamente naturale perché non è innescata da lieviti commerciali, ma da lieviti autoctoni, selezionati cioè nella vigna, isolati e poi riprodotti in cantina. La ricerca è partita nel 2000 e oggi è utilizzata nelle 15 aziende seguite dall’enologo, tra le quali Porto di Mola spicca per le caratteristiche ideali del suo territorio, che si estende su 300 ettari (di cui 27 vitati) a Rocca D’Evandro. Racchiude infatti un microcosmo dove il caldo del mare, la giusta altitudine (600 metri) e un terreno di origine vulcanica convivono in equilibrio: condizioni ideali per il vino di qualità.

Azienda agricola grotta del sole - Dal vino sfuso al prodotto di alta qualità
Da generazioni producevano vino sfuso. Poi, nei primi anni Novanta, la scommessa: investire nel recupero di alcune aree vitivinicole un tempo famose, dai Campi Flegrei all’Irpinia. “L’impresa fu difficile” ricorda Francesco Martusciello, enologo e titolare dell’azienda agricola Grotta del Sole, “sia per la lunghezza burocratica, sia per la resistenza dei contadini”. I risultati sono arrivati: la zona ha conquistato prima l’Igp, poi il Doc. Oggi sono 850 mila le bottiglie prodotte ogni anno da Grotta del Sole, tra le quali regna la Falanghina, che pesa per il 35%. “Continueremo a scommettere su queste produzioni” continua Martusciello “investendo nelle produzioni dirette, sia attraverso l’acquisto di terreni che attraverso la gestione diretta di altri”. Quanto alla produzione, insieme alla Falanghina altri risultati si aspettano dal Piè di Rosso.

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