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Panorama / Economy

Un brindisi all’Antimafia ... Cosa Nostra. Un esempio concreto di “attività sociale” sulle terre confiscate ai corleonesi. La Cooperativa Placido Rizzotto ha ottenuto in concessione una tenuta intestata a un prestanome di Totò Riina. Oggi la cantina “I cento passi” produce molto vino. Ma anche pasta. E soprattutto voglia di riscatto... C’è un nuovo vino, in commercio: sarà distribuito da metà maggio in tutta la rete Coop nazionale e in 44 botteghe di commercio equo “Natura Sì”. Riconoscerlo tra gli scaffali sarà facile. Sull’etichetta è disegnato un uomo, finalmente libero di riappropriarsi della terra che gli appartiene, che alza, fiero, le braccia al cielo. Il vino nasce nel Corleonese ed è il primo che proviene dai terreni confiscati a un prestanome di Totò Riina. Si chiama “I cento passi”, e a produrlo sono i ragazzi della Cooperativa Placido Rizzotto che, insieme ad altre associazioni riunite sotto il marchio “Libera Terra”, sfidano il più radicato dei pregiudizi: che in Sicilia nulla si possa muovere senza la benedizione della mafia. La cantina “I cento passi” ha già una produzione di media consistenza: 25 mila bottiglie di rosso e circa 100 mila bottiglie di bianco, estratti dai terreni che furono di Giovanni Brusca. Ma i progetti sono anche più ambiziosi: “Stiamo lavorando per creare una vera e propria linea “I cento passi”” dice Salvatore Martinico, uno dei più stimati e giovani enologi siciliani, che ha fornito consulenza gratuita alla cooperativa. “Vogliamo diversificare l’offerta e lanciare un prodotto di qualità, pensando anche al mercato estero”.
Realtà come quella della Cooperativa Placido Rizzotto esistono grazie alla legge 109 del 1996, una delle normative antimafia più avanzate in Europa, perché è l’unica che prevede, oltre alla confisca dei beni mafiosi (regolata in Italia dalla legge Rognoni-La torre del 1982), anche il loro riutilizzo sociale. La legge alimenta una nuova realtà imprenditoriale che, seppur faticosamente, inizia a imporsi come alternativa concreta alla gestione economica mafiosa.
“La confisca e il riscatto toccano i mafiosi nel portafoglio e nell’orgoglio” dice don Luigi Ciotti, a capo di Libera, l’associazione contro le mafie: “Il nostro obiettivo è che l’uso sociale dei beni confiscati diventi presto anche normativa europea, perché la mafia non ha più confini nazionali”.
Più di ottanta occupati. In Sicilia, nel territorio degli otto comuni nel triangolo tra Palermo, Corleone e Trapani e riuniti nel consorzio Sviluppo e legalità, le cooperative sociali sono in pieno sviluppo e contano più di 80 persone coinvolte a tempo pieno. Oltre al vino, vengono prodotti pasta, legumi, olio e frutta biologici, e si gestiscono alcuni beni riconvertiti in strutture turistiche e ricreative.
Insieme alla cooperativa Placido Rizzotto sono attive altre coop: la Lavoro e Non Solo, la NoE, la Elios e la Tempio di Monte Jato: tutte beneficiano dei fondi del Programma operativo nazionale “Sicurezza per lo sviluppo del Mezzogiorno d’Italia”, del ministero dell’Interno, e di finanziamenti dell’Unione europea.
“ Ma a voi i soldi chi ve li dà? E questa la domanda che mi continuano a fare le maestre delle scuole elementari che portano i ragazzi in visita alla Placido Rizzotto” dice Caterina Pellingra, responsabile del progetto Turismo delle coop sociali. “La cosa più difficile da far capire alla gente del posto è che le nostre iniziative sono economicamente autosufficienti: c’è ancora incredulità sul fatto che un’impresa non collusa possa funzionare”.
La Placido Rizzotto nel 2006 ha fatturato circa 1 milione di euro grazie soprattutto alla vendita della pasta, e ha registrato un attivo di bilancio sia nel 2005 sia nel 2006.
Più contenuti, ma sempre positivi, i numeri della Lavoro e Non Solo, con un valore totale della produzione di circa 300 mila euro e al break-even dallo scorso anno. Anche i ragazzi che desiderano entrare a far parte di un circuito di lavoro pulito aumentano: “L’ultimo bando presentato al Comune di Palermo per la costituzione di una nuova cooperativa a Corleone, che gestirà 130 ettari di terreni confiscati a Riina più un casolare del boss riconvertito in un agriturismo, ha ricevuto 380 richieste di adesione, per 15 posti disponibili” dichiara Davide Pati, responsabile nazionale dei beni confiscati. “Cinque anni fa, per un progetto simile, erano meno della metà”.
Certo, il lavoro non è facile. Ai ragazzi della Lavoro e Non solo a Canicattì l’anno scorso hanno divelto le viti e impiccato un cane nei terreni. Ogni tanto scoppia un incendio o viene commesso un furto. Vendette più o meno aggressive non sono però l’unico ostacolo per un’applicazione al 100% della legge 109.
Export e Import. Purtroppo sono ancora troppi i beni confiscati che non sono stati assegnati. “L’uso sociale è ancora un fatto straordinario, mentre noi vogliamo che diventi la prassi” dice don Ciotti. “Per la svolta servirebbe un’Agenzia nazionale che gestisca i beni dei mafiosi dalla confisca fino alla destinazione per uso sociale. Un’agenzia, altamente specializzata, in grado anche di rintracciare il vero patrimonio della mafia: quello dei soldi liquidi”.
Ma l’iniziativa è comunque contagiosa: “Per tanti anni abbiamo esportato tanti mafiosi negli Stati Uniti. Ora importiamo studenti americani ed è il momento di pareggiare i conti, mostrando loro il volto di una Sicilia capace di legalità”.
L’ex procuratore antimafia, Piero Luigi Vigna, sottolinea con queste parole l’importante iniziativa della sede fiorentina della Syracuse University americana, da lui promossa in collaborazione con il vicepresidente della Regione Toscana, Federico Gelli, che ha appena portato 12 studenti statunitensi a lavorare nelle terre confiscate alla mafia.
Un’iniziativa concreta, con braccia giovani impegnate nei campi antimafia insieme ai lavoratori delle cooperative. Il prossimo sbarco di studenti americani avverrà alla fine di giugno. Intanto, la Syracuse University ha attivato un corso, “The Mafia”, che ha registrato la più alta quantità di iscrizioni dell’ateneo.

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