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Panorama / Economy

Non avvelenate i lieti calici ... Le adulterazioni del prodotto di fascia più bassa. Le presunte frodi del Brunello. Il Vinitaly di Verona è stato “inquinato” dalle inchieste giudiziarie: un vero agguato per un settore di eccellenza. Che vorrebbe solo crescere... Anche se il 7 aprile la Commissione europea ha molto ridimensionato il caso, certificando che il veleno non c’entra e che si tratta solo di zucchero, lo scandalo del vino adulterato non è stato solo una tempesta in un bicchiere. Il consueto clima di festa del Vinitaly di Verona, la fiera di settore più importante dell’anno che si è chiusa lunedì 7 aprile, è stato decisamente “inacidito” dalle notizie (autolesionistiche anche per eccesso di tempestività) sullo scandalo del vino inquinato da pesticidi e concimi e da quelle sul Brunello di Montalcino “allungato” con uve diverse da quelle previste dal rigido “disciplinare”; due problemi molto diversi per gravità, sui quali ora s’indagherà (si spera) con più serietà e senza inutili clamori.
Gianni Zonin, uno dei più solidi e autorevoli imprenditori privati (è stato nominato “miglior produttore europeo” nel 2007), lancia l’allarme sul calo dei consumi interni e sulla grave distorsione d’immagine che i due ultimi scandali hanno proiettato sul vino: “Sarebbe stato molto meglio usare più attenzione a come si è comunicato il rischio vino” è il suo rimprovero. “Così come sarà il caso che cominciamo a interrogarci sul drastico calo di domanda che c’è in Italia”.

Certo, il Vinitaly è stata anche l’occasione per fare il punto sullo stato di salute del vino italiano: che ha chiuso il 2007 all’insegna di un moderato ottimismo, ma venato da qualche seria preoccupazione: preoccupazione (come giustamente sottolinea Zonin) sul fronte interno, con un mercato che da cinque anni non sta regalando grandi soddisfazioni ai produttori; ottimismo invece per quanto riguarda le esportazioni, che continuano a crescere soprattutto in termini di valore. “L’export in effetti ci sta dando dei buoni risultati” dice a Economy Andrea Sartori, presidente dell’Unione italiana vini, che con Federvini
è una delle due associazioni del settore. Il 2007 ha fatto mettere a segno un incremento dell’8% che, letto anche alla luce delle difficoltà che s’iniziano a percepire nell’area del dollaro, è sicuramente il dato più positivo. Note dolenti invece arrivano dal mercato italiano: “Anche per il 2008 non si vede nulla di buono all’orizzonte” sostiene Sartori: “La mia previsione è che registreremo un calo del 5%”.

Due motivi di crisi. I fattori
delle difficoltà interne sono numerosi: sicuramente la difficile congiuntura economica e il calo del potere d’acquisto delle famiglie sono la causa prima di queste difficoltà, ma c’è anche da dire che il nostro è un mercato ormai maturo e con un numero elevatissimo di concorrenti stranieri. Meglio, molto meglio allora, buttarsi sull’estero. “Esportare è ormai una necessità” prosegue Sartori “ma con alcuni accorgimenti. Io consiglio di non distogliere troppo l’attenzione dai nostri storici mercati di riferimento come la Germania, la Gran Bretagna, il Giappone e gli Stati Uniti: perché nei Paesi emergenti stiamo registrando percentuali di crescita spumeggianti, però i volumi ancora non si vedono”. Diversificare però è la vera parola d’ordine: largo dunque alla conquista del concentrato ma ricco mercato russo; sì alla “tentazione” cinese; all’attacco nelle economie in sviluppo delle nazioni dell’Est europeo. Perché, con l’euro che ormai domina il dollaro, il mercato americano (il più grande bacino di consumo al mondo per il vino italiano) manda dei segnali d’allarme. Che vanno recepiti anche nell’ottica di una politica di promozione, che deve essere più razionale possi
bile: “I fondi ci sono” continua Sartori: “II problema è che sono finanziati e gestiti da troppi soggetti. Bisogna decidere una buona volta chi deve fare cosa, se l’Istituto per il commercio estero, oppure Buonitalia, o chi altro. Altrimenti è il caos”.

Su questo punto, molti produttori sono d’accordo: stanchi e quasi infastiditi delle tante iniziative promozionali, a New York come a Tokyo, che troppo spesso assomigliano a “gite premio” più che a missioni imprenditoriali. L’altro nervo scoperto della categoria è il rapporto con le istituzioni: “Noi riteniamo che ci debba essere il giusto livello di istituzionalizzazione del mercato” sottolinea Piero Mastroberardino, presidente di Federvini, “ma che allo stesso tempo ci siano consentiti i margini di manovra necessari per permetterci di dare le giuste risposte, e in tempo utile, ai consumatori”.
Anche perché, all’estero, non è che ci sia solo il vino italiano: il duello con il vino francese dura da decenni; i produttori americani vanno all’arrembaggio del mondo e anche la Spagna mostra una notevole vitalità. “Fin qui è stata vincente la nostra strategia di puntare sulla valorizzazione dei territori, dei vitigni autoctoni e del giusto rapporto qualità-prezzo” avverte Zonin. “Ma ora stiamo vivendo una stagione molto delicata. Siamo all’apice della curva e in queste situazioni o si accelera oppure si rischia di imboccare una pericolosa discesa”.

Insomma, in questo “settore bandiera” del made in Italy non sono davvero tutte rose e fiori. I dati parlano ancora di alta redditività e di una situazione patrimoniale florida. Il fatturato del vino italiano è passato dai 7,25 miliardi di euro del 2003 ai quasi 9,7 del 2007 e le esportazioni
hanno il segno
positivo da cinque anni ormai. “Ma i margini adesso potrebbero ridursi, nell’area del dollaro” afferma Mastroberardino “e la situazione italiana, in mancanza di una svolta o di un segnale di ripresa, alla lunga rischia di logorare le imprese”.

Dallo scandalo del metanolo del 1985 in poi, il vino italiano ha dovuto faticare molto per risalire la china. Lo ha fatto giocando le sue tre carte migliori: quella dell’alta qualità; quella dell’immagine italiana, che all’estero continua a piacere; ma anche quella dell’unicità delle nostre migliori produzioni vinicole, della specificità di terreni e di vitigni. Tutti elementi che hanno creato quel valore aggiunto capace di far vincere agli italiani la sfida con cileni, australiani e sudafricani, o per lo meno di rintuzzarne l’attacco.

Ma i produttori sanno bene che basta pochissimo per rovinare l’incantesimo. Soprattutto se alla crisi economica e al caro euro si aggiungono i nuovi “bastoni tra le ruote” degli scandali, magari in parte “gonfiati” inter-nazionalmente da una concorrenza senza scrupoli.

Nessuna omertà. Anche dal
Vinitaly di Verona è venuta una richiesta chiara: nessuna richiesta di omertà dai produttori, solo capacità di fare i giusti distinguo, di rispettare le proporzioni e di stare ai fatti, più che alle voci. Sull’argomento, che spazia dalle politiche sul consumo di alcol fino al Brunello di Montalcino, le voci raccolte sembrano un coro. Come sono in sintonia sulla questione dei consumi eccessivi e dei controlli della Polizia stradale: “Sul tema i produttori si sono responsabilizzati da tempo” dichiara Sartori. “Però non si può ogni volta correre il rischio di fare di tutta l’erba un fascio. Condividiamo
la strategia del governo, ma ci sembra che l’approccio non sia stato dei più scientifici. Non è comunque l’etilometro che ci spaventa, semmai le difficoltà economiche del Paese”.
E riguardo alla bomba innescata sul Brunello interviene anche Enrico Viglierchio, direttore generale della Banfi, una delle aziende che hanno maggiormente contribuito a far conoscere il vitigno nel mondo: “Le ultime vicende non aiutano noi produttori di Montalcino, né alcun altro produttore alimentare italiano. Sia chiaro, i controlli vanno fatti e noi dobbiamo garantire il made in Italy: però non si deve scadere nell’autolesionismo. Perché gli attacchi non risolvono il problema in modo duraturo, ma creano dei problemi a tutto il comparto: e potranno pesare per anni”.

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