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Panorama / Economy

Brindiamo allo scandalo ... Vino e consumi... Un mese dopo il cancan causato dall’inchiesta sulle adulterazioni (subito chiusa), il mercato non avverte contraccolpi: né in Italia né all’estero. E nemmeno nel prodotto di fascia più bassa... Ricordate lo scandalo del “vino avvelenato”? La risposta dei produttori, fortunatamente, è univoca: “Non ci risulta”.
A oltre un mese di distanza dal preoccupante polverone mediatico sollevato sulle adulterazioni del vino, soprattutto quello di fascia più bassa, il mercato italiano non sembra avere subito pesanti contraccolpi. I consumi reggono, e anche la domanda interna e internazionale si mantiene costante, seguendo senza alcuna impennata negativa la china ribassista peraltro già imboccata dall’intero settore a partire dal 2000. “In attesa dei dati ufficiali, non abbiamo avuto alcuna sensazione di un rallentamento dei consumi” dice a Economy Piergiovanni Pistoni, presidente della Federazione nazionale vitivinicola di Confagricoltura. “Certo, il danno d’immagine è stato fortissimo e gli altri Paesi, come la Francia o gli Stati Uniti, sono pronti a cavalcarlo”.

Tra la fine di marzo e i primi di aprile. proprio mentre stava per aprirsi la grande rassegna internazionale del Vinitaly di Verona, i giornali avevano raccontato di inchieste aperte e rivelato drammatiche scoperte: in Puglia alcuni vini di fascia bassa erano stati adulterati, si leggeva in quei giorni, addirittura con pesticidi e concimi. Ma poi quelle notizie erano state drasticamente ridimensionate: tutt’al più si trattava di zucchero, impiegato per aumentare la gradazione alcolica.

Da allora, i grandi importatori internazionali hanno chiesto specifiche attestazioni e garanzie di qualità ai produttori ma, a sentire i diretti interessati, lo scandalo è finito lì. A Economy lo conferma anche Sergio Dagnino, direttore generale della Caviro, con il marchio Tavernello il primo produttore di vino italiano con oltre 200 milioni di litri prodotti all’anno: “A oggi non abbiamo percezione di scostamenti negativi” dice Dagnino. “Lo scandalo ha inciso poco sui consumatori italiani, ma pesa molto sulla competitività del nostro sistema all’estero, dove la legislazione è assai più flessibile e dove i vini italiani a basso costo già faticavano a trovare spazio sugli scaffali”. La guerra sul prezzo più basso è una delle cause che ha innescato la miccia dello scandalo. E su questo terreno i produttori menano fendenti. Secondo Confagricoltura, è impossibile trovare in commercio un buon prodotto sotto i 3 euro a bottiglia. “Nella fascia più bassa di produzione” sostiene Pistoni “un chilo d’uva ha un costo di circa 50 centesimi con una resa pari a 75 cl di vino. A questi si aggiungono i costi di trasformazione e imbottigliamento stimabili intorno a 2-2,2 euro a bottiglia. Se poi aggiungiamo l’Iva al 20% e i costi di distribuzione pari al 20-25% non si può restare sotto i 3 euro per stappare una buona bottiglia”.
Di tutt’altro avviso è Dagnino, che alle bottiglie in vetro ovviamente preferisce il tetrapak e che sul vino a basso prezzo ha costruito un impero che fattura oltre 280 milioni all’anno. “La bottiglia è un falso mito: alla cantina il vino sfuso costa tra 0,3 e 0,4 centesimi al litro” sottolinea il direttore generale di Caviro: “II costo all’origine non è alto come si vuoi far credere”.
L’Italia produce mediamente 48 milioni di ettolitri all’anno e una realtà come Caviro, che si basa su una filiera di 40 cantine, 20 mila viticoltori e 44 mila ettari di vigneti, riesce a mettere sul mercato 180 milioni di litri: “È chiaro” conclude Dagnino “che sulle grandi quantità si riescono a comprimere i costi”.

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