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Panorama / Economy

Il Cavaliere del vino alla corte di Draghi ... L’onorificenza della Repubblica, la nomina in Banca d’Italia e l’ingresso del suo vino nell’olimpo dell’enologia nazionale. Francesco Argiolas racconta per la prima volta il suo momento magico... Tre settimane irripetibili. Le ha vissute Francesco Argiolas, amministratore delegato di Cantine Argiolas, produttrici di vino da quattro generazioni con sede a Serdiana (Cagliari). Nel giro di pochi giorni Argiolas è diventato Cavaliere del lavoro (2 giugno); è entrato nel Consiglio superiore della Banca d’Italia (9 giugno), l’organo cui spettano l’amministrazione generale, la vigilanza sull’andamento della gestione e il controllo interno; e ha visto l’ingresso del proprio brand nell’Istituto grandi marchi (la notizia è arrivata a inizio giugno, anche se è stata formalizzata il 13 luglio) che riunisce le famiglie e le aziende più innovative e rappresentative del panorama enologico italiano. “Ho iniziato a degustare vino a sette anni, altrimenti non mangiavo” racconta commosso nella sua prima intervista Argiolas, oggi 64enne, che all’interno del Consiglio di Bankitalia rappresenta le attività produttive. “Con mio fratello (il gemello Giuseppe, che segue direttamente le vigne, ndr) non abbiamo mai pensato di dedicarci ad altro. Ma il vero input lo ha dato mio padre Antonio. Che già da bambino, ai primi del Novecento, coltivava fiori e pomodori nel campicello davanti alla scuola per regalarli al maestro, e più tardi mise su una cantina, un frantoio e un piccolo caseificio”. “Ha lavorato in azienda fino a 102 anni, e ogni anno sceglieva un Paese legato al vino da visitare con mia madre” continua. “Quando lei non poté più accompagnarlo, continuò a viaggiare con noi figli, portandoci con sé ad anni alterni”.
L’altra svolta arriva negli anni Ottanta, quando i due fratelli decidono di posizionare sul mercato il proprio vino. Fino ad allora veniva caricato in cisterne per finire anonimo in Francia, annata dopo annata. “Di lì a poco, lo scandalo del metanolo. La politica comunitaria era quella degli espianti, e noi ci trovammo di fronte a una scelta: estirpare tutti i vigneti o intensificare la produzione. Non abbiamo avuto dubbi”. Così rinnovarono l’azienda, riportando in vigna il numero di ceppi per ettaro a 6 mila, come nella tradizione dell’isola, e innovando tecnologicamente le strutture di trasformazione. “Più semplice sarebbe stato esportare vini già conosciuti e apprezzati dal consumatore. Noi, consapevoli della globalizzazione del mercato e dell’unicità della Sardegna, abbiamo preferito valorizzare e promuovere i vitigni autoctoni”. Oggi Cantine Argiolas, dove lavorano anche i figli dei due fratelli, Valentina, Francesca e Antonio, conta cinque fattorie, per un totale di 230 ettari di vigneti (più 39 di oliveti) e 35 dipendenti. Produce 2,5 milioni di bottiglie l’anno ed esporta in 55 Paesi (35% delle vendite). Dopo i 13,4 milioni di euro del 2010 (+3,8%), il fatturato si è significativamente rafforzato e nei primi sei mesi del 2011 ha registrato una crescita di oltre l’11%. Nel 1988 debutta Turriga, che secondo Argiolas è il vino che riassume il carattere dei sardi. In breve diventa il rosso preferito da Sean Connery, Lady Diana e dal presidente del Kazakhstan. Gli aneddoti si sprecano. “Siamo diventati famosi prima all’estero che in Italia”. Un giorno, a Vinitaly un broker del Nord Europa lo voleva convincere ad affidargli il mercato giapponese. A quel punto si avvicina l’importatore nipponico: “Caro Franco, lui può farti i numeri, ma ti porterà in periferia. Io ti ho portato nella casa imperiale”. Con il tempo, Argiolas supera anche la proverbiale diffidenza dei sardi nei confronti dei vini della Sardegna. “Anni fa, Francesco Cossiga era a cena con l’allora ministro inglese Lord Forte in un ristorante londinese. Il proprietario fa: “Presidente, posso offrirle un vino rosso sardo?”. E lui: “Per carità. Rossi sardi proprio no”. Quello l’ha scaraffato e gliel’ha servito lo stesso, spacciandolo per un altro vino. La sera dopo è tornato nello stesso locale: “Per la cena ci pensi lei” ha detto al proprietario “ma mi porti il vino di ieri sera”. Da allora Cossiga l’ho avuto spesso a pranzo nelle mie cantine”. Altri vitigni “un po’ maltrattati” ripresi dagli Argiolas sono il Nasco, il Nuragus e il Monica. “Alcuni riempiono ancora solo lo spirito” sorride l’imprenditore “ma presto arriveranno anche i profitti”. A riempire lo spirito c’è però anche l’altra anima di Franco Argiolas. Lo scorso marzo, in Congo, è stato inaugurato il Centro sanitario di Bibwa, realizzato grazie al progetto Iselis della famiglia Argiolas in cooperazione con le onlus Africadegna e Alerte Solidarité Santé. “E a Cantine Aperte, che l’ultima domenica di maggio ha registrato 2 mila visitatori” annuncia Argiolas “abbiamo venduto 1.500 bicchieri per aiutare una scuola nel Congo”.

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