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Panorama/economy

Ma quanto vale quest’uva? In alto i calici. Le previsioni sulla vendemmia sono trionfalistiche. Ma il vino italiano “rende” poco. E sul mercato è in atto una guerra dei prezzi... La vendemmia è in corso. Ed ecco puntali le previsioni su qualità e quantità del raccolto che, a detta dell’Associazione enologi italiani, quest’anno si annunciano su livelli piuttosto alti (la qualità) e in calo del 5% a 44 milioni di ettolitri (la quantità). Ma la raccolta è tutt’altro che conclusa. Ciò che comunque desta perplessità è il perché talune fonti continuino nel refrain autoelogiativo dell’Italia quale “maggior produttore mondiale di vino”. Come se questo contribuisse a scacciare tutti i problemi che affliggono il settore.
A cosa serve continuare a dire che la produzione di vino un anno fa ha superato quella francese, se poi le aziende esportano 20 milioni di ettolitri incassando 4 miliardi di euro, mentre i concorrenti d’oltralpe vendono un quarto di meno e incassano quattro volte di più? Insomma, il mercato non è trionfante come i numeri vorrebbero farlo apparire. E sono molte le tensioni tra produttori, cantine e imbottigliatori. Perché di vino ce n’è anche troppi. Quest’anno la vendemmia è cominciata in anticipo di quasi 15 giorni, ai primi di agosto in Franciacorta: uve Chardonnay e Pinot sane e abbondanti, al punto da spingere il Consorzio di tutela presieduto da Maurizio Zanella a chiedere, e ottenere dalla Regione Lombardia, un apposito decreto per costituire una “riserva vendemmiale” pari a 10 quintali per ettaro, da tenere sui lieviti come stock strategico per gli anni in cui la natura sarà meno generosa. L’anticipo con aumento produttivo è un fenomeno che ha interessato un po’ tutto il Nord, mentre al Centro e al Sud è accaduto l’opposto, con ritardi nella maturazione dei grappoli e quantità ridotte rispetto a un anno prima. Le stime parlano di calo rispetto al 2010, la cui produzione almeno a livello ministeriale è stata indicata in 49,6 milioni di ettolitri. E già questo alimenta qualche perplessità rispetto alle corrispondenze provenienti da altre fonti. A ogni modo, si preannunciano tagli vistosi in alcune regioni come Sicilia (-15%), Puglia (-20%), Abruzzo (-25%) e Marche (-8%): cali non compensati dagli incrementi in Toscana (÷5%), Sardegna, Veneto e Lombardia, tutte con segno positivo intorno al 10%. L’anno scorso il consuntivo di 49,6 milioni di ettolitri fu ben superiore alle aspettative (45/46 milioni). Il che permise all’Italia di ritornare prima nella classifica mondiale, ma anche di fare crescere le giacenze di invenduto: 40 milioni di ettolitri il dato ufficiale al 31 agosto 2010. Praticamente un’altra vendemmia disponibile nelle cantine e pesante come un macigno sui conti delle imprese produttrici. Secondo Coldiretti e il mondo della cooperazione agricola, queste “scorte” si sono ridotte considerevolmente grazie ai vivaci flussi dell’export, che nella prima metà dell’anno hanno registrato un incremento del 14% rispetto al 2010. Ma 4-5 milioni di ettolitri in più o in meno, il 10% della produzione, bastano per condizionare i listini della materia prima e incidere sull’andamento della domanda molto svogliata del mercato domestico. Il presidente della sezione vino di Confcooperative, Adriano Orsi, auspica una “ripresa dei valori all’origine delle uve, sostenuti dal calo produttivo, dalla vendemmia verde e, soprattutto, dall’azzeramento delle giacenze in cantina, oltre che dal buon andamento delle esportazioni”. Richiesta che parte dalla denuncia dei vignaioli di recuperare una parte dello svantaggio competitivo accumulato rispetto alle altre figure del mercato vinicolo e che, solo un anno fa, si è tradotto in ribassi molto consistenti, con punte del 20-30%, com’è accaduto per buona parte delle uve da tavola, ma anche di Igt e Doc declassate. Nell’Oltrepò pavese, per esempio, una parte di Pinot nero solitamente utilizzato come base per grandi spumanti, anche a seguito dell’uscita graduale della Guido Berlucchi, che ha optato per la totale produzione di Franciacorta, è stato utilizzato per fare un tranquillo rosso Igt. E ciò ha comportato una perdita netta per quelle uve tra il 30 e 40%. In questo contesto, non mancano gli esempi che vanno in controtendenza. Il presidente del Giv Corrado Casoli non esclude infatti che per una delle uve più gettonate del momento, il Prosecco doc, i valori quest’anno possano arrivare a 1,50 euro/litro, contro la media di 1,30 di un anno fa. Sulla stessa linea marcerebbero il Pinot grigio (da 0,75 a 0,90) e il Valpolicella classico (da 1,50 a 2 euro). Si tratta di proiezioni mercuriali, ma anche di conferme che arrivano dai mercati e che danno l’idea di quale dinamica stia prevalendo nelle contrattazioni. Da più parti giungono notizie di stop improvvisi nelle trattative per nuovi contratti tra cantine sociali e imbottigliatori. E il motivo sta proprio in questa doppia faccia del mercato vinicolo, con i responsabili delle cooperative di produttori che sperano in un rincaro da tempo atteso e gli imbottigliatori che temono di restare all’asciutto per qualche tempo, salvo poi dove acquistare mosti e vini sfusi a prezzi rivalutati. Esattamente quanto accade con bianchi e rossi di base destinati al canale del vino in cartone, che passano di mano a 2,50-2, 70 euro al grado, rispetto a 1,80-2,00 euro di un anno fa. Ma anche il concentrato rettificato destinato all’arricchimento di vini di maggior pregio non scherza: il prodotto per consegna settembre è scambiato a 3,50 euro per grado, uno in più rispetto a un anno fa. Una rincorsa che qualcuno si augura e che altri paventano come un male che può mettere in ulteriore difficoltà il settore. “La questione dei prezzi” spiega Giorgio Pasqua, dell’omonima casa vinicola veronese, “non sta nell’entità dell’aumento in sé, ma nella difficoltà da parte delle aziende vinicole a fare accettare nuovi prezzi alla distribuzione, che già oggi fa fatica ad adeguare listini, a fronte di una domanda che non dà segni di risveglio”.

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