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Panorama

Bianchi sotto il sole: dopo anni di predominio dei rossi tornano i vini bianchi, fermi o con le bollicine. Ideali per aperitivi sulla spiaggia come pure nelle cene elaborate per palati esigenti ... Freschi, fruttati, fermi o con le bollicine, adatti ad accompagnare un intero pasto, anche nella più torrida delle estati. Ma, soprattutto, bianchi. Sembravano relegati a ricoprire un ruolo minore, in una terra come l’Italia, dove i grandi vini rossi determinano investimenti, dominano i mercati, generano tendenze. Invece no. I vini bianchi, dopo anni di débâcle, hanno ritrovato la loro dignità. Complice forse anche il gran caldo, ama soprattutto un po’ di marketing e l’oggettiva crescita media della qualità dell’enologia nazionale. “Un successo che si deve alla valorizzazione della grande varietà di vitigni che si trova in tutte le regioni della penisola” spiega Pierdomenico Garrone, presidente dell’Enoteca d’Italia. La struttura delegata alla promozione del sistema vitivinicolo italiano. “Dalla Sicilia così come dal Trentino arrivano etichette che rispondono sempre di più al gusto internazionale” dice “e i nostri prodotti stanno conquistando mercati importanti come la Russia e la Cina oltre, naturalmente, spopolare nelle enoteche e nei wine bar italiani”. In realtà, la tendenza a riscoprire i vini bianchi è partita proprio dall’estero. Stati Uniti ed Europa settentrionale in testa, per scendere, poi, nell’area mediterranea dove ha incontrato il plauso degli chef. All’inizio solo per gli abbinamenti con i piatti di pesce in estate, poi sempre promossi anche d’inverno con i piatti di terra, tanto elaborati quanto i profumi e i sapori dei vini stessi. Una ricchezza pressochè infinita, frutto della diversità tra i vitigni e del carattere impresso dalle condizioni di terreno e clima del luogo dove viene coltivato. Non a caso imprenditori attenti come i marchesi Antinori hanno scelto di ripetere i successi toscani con esperienze felici in Puglia (Tormaresca chardonnay o Castel del Monte), in Umbria (Cervaro della Sala) o in quella straordinaria terra di bollicine che è la Franciacorta (a Montenisa con i brut). Di fatto l’Italia si sta dimostrando terra di grandi vini, capace di reggere bene i confronti con la Francia e i nuovi paesi produttori, come l’Australia o il Cile. Il vero dilemma, oggi, è quello della scelta tra vitigni autoctoni, ovvero originari dele varia regioni d’Italia, o alloctoni, cioè quelle piante in genere di origine francese che, per versatilità e adattabilità a climi e terreni eterogenei, sono in grado di dare ottimi risultati un po’ ovunque. E’ il caso degli chardonnay, dei sauvignon o dei pinot. “Autoctono o internazionale che sia, l’importante è che si lavori bene nei vigneti e in cantina” spiega Diana Frescobaldi, che produce in Toscana e Friuli ma anche in California e Cile. A proposito di Friuli, c’è chi riesce a creare grandi spumanti con vitigni locali al posto delle uve bianche di origine francese. E’ il caso di Manlio Collavini, con la sua Ribolla Gialla. Un fenomeno, quello dei vini tipici, che porta sugli allori tanti nomi poco noti, come i Vermentini sardi, il verdicchio marchigiano, i grandi bianchi della Campania come il Greco, il Fiano, ma anche il Tocai friulano e il siciliano Insolia, noto in altre regioni con il nome di ansonica. Di quest’ultimo è profeta Gianni Zonin, il più grande vitivinicoltore italiano, con aziende in sette diverse regioni. L’imprenditore veneto ha creduto nel Feudo Principi di Butera, contribuendo a rilanciare l’enologia della provincia di Caltanissetta e dell’intera isola. “I bianchi Autoctoni italiani stanno riscuotendo un meritato successo anche perché non sono troppo carichi di profumi di frutta ed essenze di legno che caratterizzano le bottiglie di taglio californiano facilmente percepibili ai neofiti” dice Gaetani d’Aragona. “Segno che è cresciuta la maturità dei consumatori italici”.

Bianchi, da non perdere

Cervaro della Sala di Antinori, Verdicchio dei Castelli di Jesi di Umani, Ritratto della Cantina La Vis, Ribolla Gialla di Collavini, Insolia del Feudo Principi di Butera di Gianni Zonin.

Rosso Toscano, perfetto in estate

Il "governo" era un'antica pratica dei vignaioli chiantigiani che consisteva nell'aggiunta di uva pasa al vino appena tolto dai tini di fermentazione, al fine di farlo rifermentare per essere pronto già alla primavera successiva alla vendemmia. Una tecnica che Maurizio Castelli, enologo di Castellare di Castellina (www.castellare.it), azienda del Chianti senese, ha recuperato ed affinato ricorrendo a moderne tecnologie. Ne ha ottenuto un vino rosso giovane e adatto ad essere bevuto fresco anche con il pesce. Governo di Castellare Igt, questo il nome del vino corposo e marcatamente toscano, è prodotto in sole 10.000 bottiglie all'anno con uve di Sangioveto, Malvasia Nera e Canaiolo.

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