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Panorama

Storie di vino - Che forza ha Ercolino! Un produttore avellinese in grado di conquistare anche i palati orientali ... Una commemorazione. Innanzitutto. Vedo che dall’etichetta del Taurasi dei Feudi di San Gregorio è scomparsa l’indicazione, Selva di Luoti. Ho un ricordo fantastico dell’annata ’98. Recita un mio vecchio appunto: «Vale il migliore Barbaresco. L’unità d’Italia stavolta è partita dal Borbone. Scomparsa l’indicazione, il Taurasi resta. Ed è una garanzia. Quanta strada ha fatto Enzo Ercolino da quando forse 10 anni fa me lo portò come commensale e sommelier Pellegrino Capalbo, genio umilissimo delle strategie finanziarie e suo accorto parente. Aprimmo le prime bottiglie una dietro l’altra e fu subito chiaro che il Feudi avrebbero sfondato. La casa avellinese onora le tradizioni della propria terra (con il Taurasi, con l’Aglianico e con i grandi bianchi di cui parleremmo tra poco), ma al tempo stesso ha ottenuto risultati eccellenti giocando in trasferta. Si prenda il Patrimo, figlio di uve Merlot. L’etichetta oro, sobria e misteriosa che unifica graficamente i vini della casa, introduce all’abbraccio avvolgente del profumo e all’imponenza del sapore. Non si scherza nemmeno col Serpico, di cui ho appena assaggiato l’eccellente annata 2001: l’Aglianico richiede qui l’abbinamento di carni importanti, senza stravaganze eretiche.
E veniamo ai bianchi, ne segnalo tre. Si parte dall’intrigante Falanghina che mette di buonumore: un vestito sportivo di classe. Si sale al greco di Tufo che già nella versione vulgaris ha un ottimo corpo (lo riconosci come un vino di famiglia al primo sorso) e dà il meglio nel cru Catizzi. Si chiude nell’impero del Fiano, che conosco nella versione massima, il Campanaro: vino di grandissima struttura, pronto a sposalizi di tavola amplissimi e magnifici. Quando all’inizio della settimana ho scritto questa nota, Enzo Ercolino era in Giappone. A quando la conquista della Cina, pronta a inondarci perfino di funghi e tartufi, ma ancora indietro in campo enologico?

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