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Panorama

Storie di vino - Un cabernet nobile come chi lo fa ... Tra i produttori dalle etichette araldiche, spicca l’aristocratico San Leonardo della casata trentina Guerrieri Gonzaga. Rispetto agli altri, i nobili hanno un bel vantaggio: quando sono nati erano già proprietari terrieri. Questa terra qualche volt produceva vino. In generale era vino buono, perché di solito i nobili possiedono terra buona. Quando la tecnologia era modesta, bastava questo a garantirgli un bel posto in classifica. Da una trentina d’anni, tuttavia, il mondo del vino si è progressivamente rivoluzionato. La tecnologia ha poi fatto nascere vini meravigliosi da terre che per secoli erano state avare. Ai nobili non bastava più avere terra buona. Occorreva sviluppare il cervello dell’imprenditore. Così l’araldica enologica si è ristretta. Ai primi posti troviamo in Toscana gli Antinori, i Frescobaldi, gli Incisa della Rocchetta. In Sicilia i Tasca d’Almerita. E in Trentino i Guerrieri Gonzaga con il loro magnifico Cabernet Sauvignon che si chiama San Leonardo. Due volumi di rassegna stampa testimoniano l’attenzione internazionale verso questo vino dal 1968 ad oggi. Attenzione singolare, che richiama in qualche modo quella spasmodica verso il Sassicaia, se non altro perché Carlo Guerrieri Gonzaga è tradizionalmente, come anche Incisa della Rocchetta, produttore di un solo vino (il Merlot di recente fattura ha mostrato un retrogusto più nobile dei confratelli di vitigno, ma di certo è il prodotto minore della casa). Un tappo traditore mi ha impedito di valutare un San Leonardo vecchio di vent’anni, ma le ultime annate (quelle del 2000 e del 2001) lo confermano come uno dei migliori Cabernet Sauvignon prodotti in Italia: pieno ma al tempo stesso discreto, pastoso e decisamente aristocratico. Non sono un esperto, ma posso dire che tra le due mi è sembrata migliore la bottiglia più giovane. Mi sia infine consentito di affiancare al giudizio sul vino quello su produttore. L’antica signorilità di Carlo Guerrieri Gonzaga fa onore alla sua casa, nel segno di una tradizione che ha visto nel 1916 la marchesa Gemma organizzare il coraggioso rientro di circa 12 mila prigionieri trentini, triestini e istriani già appartenenti all’esercito austroungarico e dispersi in 110 campi di concentramento tra la Russia e la Siberia. Essi formarono la Legione trentina dell’esercito italiano.

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