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Panorama

Stappate questi vini estremi ... Si chiamano così e sono prodotti in Valle d’Aosta, sull’Etna, sulle terrazze più alte e scomode d’Europa. Ma il palato gode. Dopo il sesso estremo. Il vino estremo, dispensatore di emozioni forti alla stregua di certe pratiche erotiche. I vini moderati sono la stragrande maggioranza del mercato, li conosciamo un po’ tutti, sono sempre uguali, un po’ democristiani, corrispondo alla posizione del missionario: i Cabernet, gli Chardonnay, i tre bicchieri del Gambero Rosso, le grandi aziende, i nobili toscani, gli industriali di Franciacorta … E poi ci sono questi vini estremisti che hanno imparato a fare gruppo e cominciano a fare capolino nei locali più devianti, ristoranti ed enoteche che non si fanno compilare la carta dai braghettoni dell’associazione sommelier.
Provengono da vigne scomodissime, arrampicate su montagne spazzate dai venti, che vignaioli masochisti insistono a coltivare a dispetto del buon senso e della meteorologia. Ovvio che ne risultino bottiglie da brivido. Vengono dall’estremo Nord e dal profondissimo Sud, mai dal Centro. Le vigne non sono in pianura o su collinette, bensì sulle terrazze più alte delle Alpi e sui pendii scoscesi dei vulcani. Sono vini che pochi conoscono siccome frutto del lavoro di piccoli produttori maniacali, senza soldi da buttare per gli uffici stampa. Del resto la perversione non ha mai gradito la pubblicità, meglio il passaparola, meglio ancora il bisbiglio fra segreti cultori.
Non vi sono vini genuini, sono di più, selvaggi, perché a una certa altezza le viti si ribellano alla civiltà enologica e crescono come pare a loro. Le piante del Blanc de Morgex, prodotto in vista del Monte Bianco della valdostana Cave du vin blanc de Morgex, non sono nemmeno innestate. Sono viti naturali, nude come mamma vigna le ha fatte. Anche le piante della Vinupetra (azienda I Vigneti) toccano i 1.200 metri di altitudine, però sull’Etna, dove sono frustate dal vento.
Quello valdostano e questo siciliano sono i vini più alti d’Europa, forse del mondo. Nella vigna etnea non è mai arrivato il conformismo della monocultura, ogni appezzamento è un’orgia dio varietà dai nomi stuzzicanti: Visparola, Coda di volpe, Minnella, che per chi non l’avesse capito significa tettina. Anche le uve di Ischia e di Amalfi attraggono il feticista: Bianca Zita, Bianca tenera, Forastera… I vini citati e alcuni altri (Un Valtellina superiore di Sandro Fay, un Furore bianco di Marisa Cuomo…) nella contro etichetta usano il marchio “Vini estremi”, come i rapper scrivono “explicit lyrics” sulle copertine dei cd per avvisare che dentro ci sono testi spinti.
Di questa gamma il bevitore scostumato non si lascia scappare la Vernatsch, nome tedesco dell’uva altoatesina che in italiano si chiama, ma guarda un po’, Schiava. La Vernatsch del maso Kofelgut è un a ragazza di montagna da piegare ai propri voleri, un’etichetta ignorata dalle guide perbeniste e che perciò non conosce ancora i sui diritti: la puoi maltrattare, sbattere in frigorifero senza pietà, legarla a qualsiasi cibo anche in abbinamenti spericolati, e non ti tradirà mai.
Autore: Camillo Langone

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