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Panorama

Putin attacca sul vino ... Apprezzati dai grandi della Terra, esportati in mezzo mondo, i rossi georgiani e moldovi fanno gola anche agli investitori internazionali. Ma la Russia li ha banditi. Per motivi politici... Quando la regina Elisabetta II ha assaporato l’inconsueto bouquet del Negru de Purcan, ne è rimasta talmente colpita che ha deciso di far ordinare a Buckingham Palace ogni anno diverse casse del rosso della Moldova meridionale. E quando Stalin voleva rilassarsi dopo una dura giornata al Cremlino non trovava nulla di meglio che aprire una bottiglia di Khvanchkara, un rosso semidolce della natia Georgia. I vini moldovi e georgiani, apprezzati dai grandi della Terra, oggi sono esportati in mezzo mondo e fanno gola agli investitori occidentali (numerosi gli italiani), eppure stanno vivendo un momento di crisi profonda. Motivo: la Russia, il loro mercato principale, ha deciso di boicottarli. Con il pretesto che conterrebbero pesticidi e metalli pesanti, le autorità di Mosca ne hanno vietato le importazioni, dando inizio alla prima guerra del vino.
La ragione è politica: dietro il niet di Mosca, è opinione diffusa, si nascondono sanzioni contro la svolta filoccidentale delle due ex repubbliche dell’Urss. “Il vino georgiano è stato punito per la nostra libertà e per le nostre aspirazioni democratiche” ha dichiarato il presidente georgiano Mikhail Saakashvili. Ai tempi sovietici Moldova o Georgia erano due feudi della potenza moscovita. Ed erano considerati “i vigneti dell’Urss”. In Moldova esiste la più grande cantina-museo del mondo, Cricova: situata 70 metti sottoterra, si estende lungo 120 chilometri di tunnel con volte a botte dove invecchiano 1 milione e mezzo di bottiglie. Pezzo forte della raccolta, la collezione di Hermann Goring, sequestrata dall’Armata rossa nel ‘45 a Berlino. Nel ‘91, le due repubbliche hanno ottenuto l’indipendenza. Nella galassia postsovietica è mutato tutto, ma non le abitudini alcoliche. E la Georgia ha continuato a vendere l’80 per cento della sua produzione di vino, principale voce dell’export, alla Russia. Ancor più dipendente la Moldova, le cui esportazioni (l’86 per cento delle quali finiva in Russia) erano pari al 20 per cento del suo pil. Tutto ciò fino al marzo 2006, quando Mosca ha decretato l’embargo.
Secondo il governo moldovo, è stato un atto di ritorsione contro il regime doganale introdotto il 3 marzo 2006, che impone alle società della Transnistria, repubblica separatista filorussa, di pagare le tasse doganali alla Moldova. “Il nuovo regime ha di fatto costretto oltre 200 società transnistriane a registrarsi in Moldova e ha portato alla creazione di un organismo della Ue che controlla la frontiera fra Transnistria e Ucraina” spiega Paolo Sartori, ufficiale di collegamento Interpol in Romania e Moldova. Mossa che, ostacolando i traffici (soprattutto illeciti) di Tiraspol, città guida della Transnistria, ha messo in ginocchio l’economia dell’autoproclamata repubblica, facendo crollare il pil del 15 per cento. E Mosca, che ha assunto il ruolo di tutore di Tiraspol, ha punito la Moldova bandendo il suo import.
Quanto alla Georgia, le relazioni con Mosca con Chisinau si sono deteriorate a causa della presenza di truppe russe e del sostegno del Cremlino alle regioni separatiste dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud. Il risultato delle sanzioni è stato disastroso: nei primi otto mesi del 2006 l’export della Moldova è crollato del 35,4 per cento. E il Fondo monetario internazionale ha stimato che in Georgia ridurranno la crescita del pil a meno dell’1 percento nel 2006-2007.

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