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Panorama

Lessico alimentare ... La nuova narrativa gastronomica. Penne pepate scrittori ispirati dai piaceri del cibo e chef che pubblicano best-seller. Sulla pagina scritta arriva il gusto... Un venerdì sera, al bar di un grande albergo milanese, si incrociano una scrittrice, un gastronomo, un industriale-enologo, una bella ricca e sfaticata. Un po’ per celia, un po’ per non morir di noia al primo incontro, la narratrice golosa lancia l’idea di una eccezionale sfida culinaria, post Pranzo di Babette: organizzare per il martedì successivo, quindi in pochissimo tempo, una cena per dieci creando un menu memorabile, accompagnato da vini squisiti, messo in scena come un’opera d’arte. Un avvenimento effimero, consumato in poche ore, da ricordare in un libro. La cena delle meraviglie di Camilla Baresani e Allan Bay (la scrittrice e il gastronomo), appena pubblicato dalla Feltrinelli, narra le gesta di quell’epica serata, i cavalier, le schiumarole, gli amori, e alimenta un genere piuttosto nuovo in Italia: la narrativa gastronomica.
Baresani, autrice di romanzi come Sbadatamente ho fatto l’amore e originale critica di ristoranti sul Sole 24 ore, si schermisce: “Non pensavo a La cena delle meraviglie come a un libro di narrativa, ma come a un reportage raccontato, anche se ci sono diverse invenzioni”. Tra i commensali c’era Roberta Schira, gastronoma e autrice del romanzo culinario Piazza Gourmand (Ponte alle Grazie), che rivendica come il primo nel suo genere in Italia (sta già scrivendo il secondo), ma poi fa ammenda ricordando Casalinghitudine di Clara Sereni. “Il cibo è l’argomento più interdisciplinare che esista” sostiene la vulcanica Schira, che riconosce in Ruth Reichl, l’ex critica del New York Times, autrice di gustosissimi libri autobiografici, la sua maestra. “Parla di storia, economia, geografia, psicoanalisi. La gente inoltre adora sentir parlare di cibo perché difficilmente ne padroneggia il lessico pieno di sfumature”.
Nel mercato anglosassone la letteratura sul cibo è fiorente. Pur essendo stato fondato nel 1923 da un intellettuale ulceroso e inappetente, Harold Ross, il settimanale americano The New Yorker vanta alcune delle più prestigiose firme. In Secret Ingredients. The New Yorker book of food and drinks, il curatore David Remnick definisce gli autori presenti nell’antologia “scrittori per i quali il cibo e il vino sono fonte di piacere, nutrimento, metafora, arte del ritratto, avventura, comicità e narrativa”. Spiriti per i quali la gastronomia è una sfida, come lo era per l’inventore della gastrosofia Jean-Anthelme Brillat-Savarin, che così si rivolse ad Adamo ed Eva: “Primi genitori dell’umanità... voi che perdeste tutto per una mela, che cosa non avreste fatto per un tacchino al tartufo?”. Sfide vissute ad alto tasso di maniacalità. Bill Buford, già redattore del New Yorker, ha scritto Calore (Fandango), best-seller negli Stati Uniti e in Gran Bretagna: racconto epico delle sue avventure come schiavo di cucina dello chef Mario Batali. Nelle ultime pagine Buford minaccia di indagare al di là delle Alpi e chiarire se è vero che la cucina francese non esisteva prima che Caterina de’ Medici portasse in Francia i suoi cuochi.
L’amore per i vigneti della California, e in particolare per il Pinot nero, ha ispirato a Rex Pickett il romanzo Sideways (Hacca edizioni), che è stato un film di grande successo. Due amici on the road nella Santa Ynez Valley: “Non mi considero un connoisseur” dice Pickett a Panorama. “Ho cominciato a frequentare le degustazioni di vino il sabato pomeriggio nel mio quartiere a Santa Monica. All’epoca ero solo e senza un soldo e quella era una delle mie poche attività sociali. Così il vino è diventato parte della mia vita”.
On the road è anche Il mio giro d’Italia (Tea) dello chef inglese Jamie Oliver, calato sulla Penisola in furgoncino, a caccia di ricette ed esperienze antropologiche: il volumetto è pieno di “riflessioni sulla porchetta” piuttosto che “sul minestrone”. Un naso da formaggio, Edward Trencom, è invece protagonista del romanzo Delitti e formaggi di Giles Milton (a gennaio da Ponte alle Grazie). Dice Camilla: “Dagli anglosassoni abbiamo appreso che si può parlare di cibo. Ma ricordiamoci che La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene dell’italianissimo Pellegrino Artusi è uno dei libri più belli che ci siano anche dal punto di vista linguistico”.
Scritto a fine Ottocento, quando la cucina angloamericana non era certo rinomata: “È vero” dice Allan Bay, autore di libri come Cuochi si diventa (Feltrinelli) e direttore della collana Il lettore goloso (Ponte alle Grazie), che unisce rigore e amore del racconto. “Il mensile americano Gourmet è nato solo nel 1940, ma Dio mio se hanno corso. In Italia la situazione è diversa, gli italiani hanno raggiunto il numero di calorie quotidiane necessarie pro capite soltanto nel 1962. E quando si è poveri sul cibo non si scherza. Il pranzo di Babette da noi non sarebbe stato concepibile”. Ricordiamoci che i golosi danteschi sono battuti da una “piova/ etterna, maladetta, fredda e greve...”.
C’è voluto il lavoro di persone come Peppino Cantarelli o Gualtiero Marchesi per divulgare l’idea che il cibo è una scelta culturale. E la gastronomia una scienza, dice oggi il fondatore di Slow food Carlo Petrini. “I piatti devono essere proposti seguendo una logica che è nella tradizione dell’alta cucina. Dobbiamo pensare a una specie di scala ascensionale dei sapori, dei pesi” asserisce Bay nella Cena delle meraviglie.
Nel linguaggio del menu, significa, per citare solo alcune delle 14 voci, aprire con ostriche crude e al gorgonzola; ascendere con un timballo di tagliatelle con ragù di pesce e carciofi (una versione principesca con maccheroni viene descritta nel Gattopardo), culminare con un “pollo farcito di Mastro Martino (padre quattrocentesco di tutti i gastronomi italiani) con salsa di fichi, cuori e fegatini”. “Ho scelto piatti della grande tradizione borghese ormai dimenticata dai cuochi moderni perché richiede lunga preparazione” spiega Bay. E calma, pazienza, nonché molti aiuti in cucina. “Una cena da Wwf” chiosa. Camilla Baresani ha apprezzato ogni cosa, avrebbe perfino fatto il bis di timballo, ma era finito, come tutto il resto. Non restava che scrivere: “Era stata proprio una cena delle meraviglie, persino nel ricordo”.

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