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Panorama

Il rosso resiste alla caduta dell’export ... Spumante, moscato e bottiglie blasonate vanno meglio del mercato. Mentre i produttori riscoprono l’importanza del marketing... Chissà se un buon bicchiere di Barolo da meditazione aiuterà ad affrontare la crisi economica con filosofia. Di certo spumanti, moscato e rossi piemontesi sono rimasti i soli a resistere al crollo generalizzato delle esportazioni. Fra i distretti regionali, infatti, solo i vini di Langhe, Roero e Monferrato mostrano una certa stabilità, fermando a un impercettibile meno 0,1 per cento la discesa registrata tra aprile e giugno (fonte: Monitor dei distretti dell’Intesa Sanpaolo, ottobre 2009). La ricetta è sempre la stessa. Si parte da un patrimonio di 14 vini docg (a denominazione di origine controllata e garantita) e 34 doc per arrivare a un fatturato di settore di quasi 400 milioni. E se aggiungiamo che nel comparto si confrontano marchi di peso internazionale come Gancia e Martini, allora è evidente come il Piemonte sia ben attrezzato per la sfida mondiale. “Buttiamo a mare la zavorra per restare alti in quota” mette in chiaro Stefano Leonangeli, amministratore delegato della Martini & Rossi (oggi del gruppo americano Bacardi-Martini), con oltre 319 milioni di fatturato al 31 marzo. “Abbiamo tagliato tutte le spese superflue per non ridurre gli investimenti in marketing e in nuovi prodotti, con il risultato che mentre il mercato flette del 4,5 per cento noi stiamo portando la nostra quota dal 29 al 31,5”. Ad aiutare ci sono anche nuovi prodotti come il Martini rosato, ma soprattutto una leadership di lunga data nel settore degli spumanti. Mentre il piemontese americanizzato Martini sfrutta la sua piattaforma internazionale, un gruppo storicamente italiano come Fratelli Gancia si rilancia con un aumento di capitale da 10 milioni, deciso a raddoppiare le vendite all’estero (oggi l’export è al 15 per cento) e a guadagnarsi una quota da leader nel mercato italiano degli spumanti secchi. “Per un’azienda che ha inventato il metodo classico per gli spumanti e il vermut bianco si tratta in fondo di concentrarsi e potenziare il core business” sottolinea l’amministratore delegato Paolo Fontana. “Affidando l’azienda a un management esterno, la famiglia Gancia ha dato un segnale preciso: rilanciare un marchio che di per sé vanta già una riconoscibilità del 97 per cento, ma che deve ancora lavorare sull’identità dei suoi prodotti”. Quindi spazio a idee come il Cuvée Platinum o all’indicazione in etichetta del numero dei mesi di fermentazione in bottiglia. La lezione del marketing va applicata a tutto campo, “per dare una possibilità di mercato a tutto il sistema rurale” sottolinea l’assessore regionale all’Agricoltura Giacomino Taricco. “Di recente ho incontrato tutti gli esponenti del sistema produttivo per convincerli a condividere proposte di promozione e sostegno anche per vini come Barbera e Dolcetto, perché sono soprattutto i marchi di fascia media che hanno bisogno di trovare una migliore collocazione di mercato”. Oggi infatti il mercato è diviso in due. Cresce la grande distribuzione, soffre il canale del fuori casa, quello dei bar e dei ristoranti. Tengono i bianchi, vacillano un po’ i rossi. “Il consumatore sceglie o il prodotto di alta qualità o i volumi delle etichette low cost” insiste l’assessore. E le cantine cavalcano l’onda con creatività. “Abbiamo lanciato le bottiglie a volumi bollati” racconta Oscar Farinetti, l’imprenditore che con la vendita della Unieuro, gigante dell’elettronica di consumo, si è comprato i 122 ettari della tenuta reale di Fontanafredda, nel cuore delle Langhe. “Si tratta di bottiglie di vari formati: da mezzo litro per una cena a due, 1 litro per quattro persone e 2 litri per cene a sei. Il formato da 75 ml è stato abolito e tutto per andare incontro alle esigenze di un consumatore sempre più attento ai costi e ai consumi”. Farinetti produce 6 milioni di bottiglie l’anno per un giro di affari di 40 milioni. Produce tutti i migliori vini piemontesi, dal Barolo al Barbera d’Asti, passando per Nebbiolo, Moscato e Asti spumante. E proprio questa differenziazione di etichette e di mercati gli ha permesso di passare indenne attraverso la crisi. “In Italia vendiamo circa 14 milioni di bottiglie e il resto va in Germania, negli Stati Uniti, in Russia e Giappone, paese dove le vendite tengono molto bene” fa notare anche Paolo Ricagno, presidente del Consorzio Asti spumante e titolare con il figlio Stefano della cantina Ca’ dei Mandorli. “Il prossimo passo? Lo sviluppo del canale in Australia, continente dove ormai si produce ottimo vino ma non lo spumante dolce o il moscato. Questi sono prodotti unici made in Piemonte. La nostra forza”.

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