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Panorama

… Il collezionista del lusso che vuole Hermes ha già puntato gli occhi su Armani per riscattare lo smacco patito con Gucci … Dicono che abbia incantato la seconda moglie la pianista canadese Helene Mercier “la belle Helène” suonandole Sergei Rachmaninov. Con quelle dita lunghe e sottili, sembra nato per la tastiera. Il fisico asciutto, nervoso, grazie a una dieta priva di carboidrati e al tennis, lo fanno assomigliare a campioni del passato come René Lacoste o Fausto Cardini, I modi gentili e l’aria timida, i completi grigi con giacche a due bottoni o doppio- petto sono da diplomatico del Quai d’Orsay. Un solo dettaglio rivela la natura intima: gli occhi di ghiaccio e lo sguardo impenetrabile.

Bernard Arnault, 61 anni, nato il 5 marzo 1949, sotto il segno dei Pesci, con una fortuna stimata da Forbes in 27 miliardi di dollari, è l’uomo più ricco di Francia. E uno dei più potenti. Troppo potente, attacca Patrick Thomas, gestore del gruppo Hermès (in mano ai 60 eredi del sellaio Thierry), che gli chiede di rivendere il pacchetto del 14,2 per cento rastrellato in borsa, con opzione a salire fino al 17,1. Troppo potente, fa eco JeanPierre Jouyet, presidente dell’Autorité des marchés financiers, la Consob francese, il quale censura l’operazione avvenuta attraverso derivati e filiali estere (Lussemburgo, Panama, Stati Uniti) e apre un’inchiesta sullo “stile da cowboy”. Il miliardario parigino non sembra certo John Wayne. Eppure, ha sempre usato arditi colpi e intricate manovre per costruire un impero su cui non tramonta il sole. Il mondo del lusso ha un volume d’affari attorno a 200 miliardi di dollari, Arnault se ne ritaglia una fetta del 14 per cento, lasciando a distanza l’arcirivale Franois Pinauh (che controlla Gucci, Yves Saint Laurent, Fnac, Chateau Latour, Christie’s e Palazzo Grassi) o il gruppo svizzero Richemont (Cartier e Montblanc). Possiede giornali (prima La Tribune, ora Les Echos) e influenza tutti gli altri con la pubblicità. Dior, Vuitton, Moet et Chandon, Hennessy, Dom Pérignon e la galassia di marchi riuniti sotto la cupola Lvmh possono dare e togliere milioni di euro. Vecchio amico di Nicolas Sarkozy, non si tira indietro nemmeno nelle battaglie politiche. Lo ha fatto in modo clamoroso nel 1981 dopo la vittoria di Franois Mitterrand: per protestare contro la gauche e le nazionalizzazioni, se n’è andato negli Stati Uniti. B.A., “Beà”, come lo chiamano i parigini con il vezzo dell’acronimo, protegge in una corazza imperforabile le leggendarie fobie: la paura di essere rapito o l’allergia al rumore che fa di tutto per ridurre, cambiando più volte il sobrio arredamento del suo ufficio nel Palazzo Dior, all’inizio dell’avenue Montaigne, roccaforte dell’alta moda. “Ci si chiama per nome, ma ci si continua a dare del voi” lamentava Michel Lefebvre, l’amico di lunga data, confidente e partner.

E’ una rigidità che ha preso da sua madre, Marie-Josèphe Savinel, erede di una importante fortuna. Nel 1947 sposa Jean Arnault, ingegnere arricchitosi con la ricostruzione postbellica, e gli affida l’azienda di famiglia. Bernard lo ha nominato presidente d’onore della Lvmh, nella quale ha inserito la primogenita Delphine e il figlio minore Antoine. Dopo il liceo a Roubaix, Beà va a Parigi, per studiare al politecnico. Si distingue, tanto che sembra destinato all’Ena, la fl.icina della classe dirigente. Invece torna in provincia. Sposa una Dewavrin, altro bel cognome del nord. Chiude i cantieri sgangherati del padre e si lancia nella speculazione immobiliare, sotto lo sguardo di Antoine Bemheim, patrono dei grandi affari di Francia. Finché non arriva il gran colpo. Il gruppo Boussac è in fallimento. Nato dalla fusione dei vecchi imperi tessili di Marcel Boussac e dei fratelli Willot, è comandato da una finanziaria, che controlla i grandi magazzini Le Bon Marche, i supermarket Conforama e la società immobiliare La belle Jardinière. È finita lì dentro anche una stella cadente come Christian Dior. Sotto la pressione dei sindacati, interviene lo stato, ma nel 1984 il giovane primo ministro Laurent Fabius, socialmodernista, vende il gruppo e sceglie Arnault: non è di sinistra, però viene garantito da Lazard e Worms. Un inizio folgorante, che aguzza l’appetito. Nel 1989, Herny Racamier, presidente della Louis Vuitton, lo chiama in aiuto: si tratta di prendere il controllo della conglomerata Lvmh strappandola ad Alain Chevalier, che rappresenta le famiglie Mercier, Chandon-Moét e Hennessy. Con una serie di funambolismi finanziari, Beà sconfigge tutti. Consigliato da Lazard e da Guinness, il gruppo angioirlandese che gli fornisce parte delle munizioni, si allea a Chevalier e, magheggio dopo magheggio, conquista il 30 per cento del gruppo.
Arnault taglia teste e cambia stilisti. S’innamora di Christian Lacroix grazie alla belle Hélène che fa da arbiter elegantiae. Rilancia la Dior, prima con Gianfranco Ferré e dal 1996 con John Galliano. Gli analisti non tisparmiano critiche: Beà esegue un’incompiuta, nessuno dei marchi è leader nel mercato del lusso, tranne Vuitton, ma solo nel pellame.

La fallita scalata alla Gucci, 10 anni fa, gli ha lasciato l’amaro in bocca. La battaglia si combatte senza esclusione di colpi. La Lvmh rastrella sul mercato, dichiarando intenzioni amichevoli (come con Hermès). Passo dopo passo, arriva al 34,4 per cento. L’amministratore delegato Domenico De Sole usa la pillola avvelenata: un aumento di capitale riservato ai dipendenti Gucci. Ma Arnault ricorre al tribunale che congela i diritti di voto. Finché non scende in campo Franois Pinault, un bretone pressoché autodidatta, il quale, partito da una piccola azienda di legname, è diventato uno dei collezionisti più bulimici d’Europa: controlla la casa d’aste Christie’s e ha acquisito anche Palazzo Grassi a Venezia. Il cavaliere bianco acquista il 40 per cento dell’antica pelletteria fiorentina, poi prende la Sanofi-Beauté, cioè la Yves Saint Laurent più un parco di profumi tutt’altro che trascurabile, e fonda il gruppo Ppr (Pinault-Printemps-Redoute). E’ una sfida a tutto campo, ma Pinault si ferma, secondo Porbes, a 14 miliardi di dollari, 34° al mondo, 27 caselle più in basso di Beà, il quale rimpingua le tasche grazie ai nuovi ricchi dnesi e riparte all’attacco. Da tempo ha messo gli occhi sulla Giorgio Armani. La sua taglia è più piccola (circa 6 miliardi di euro), ma nell’alta moda surclassa la Dior. Un’opzione, dunque, per quando lo stilista milanese deciderà di ti- tirarsi. La specialità di Arnault è cogliere eredità contese. Comunque vada a finire la battaglia per l’Hermès, Lvmh ha riaperto la guerra del lusso. Ce n’est q’un début.

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