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Panorama

È incredibile come lo champagne sia riuscito a passare attraverso le maggiori impertinenze mantenendo la sua immagine mitica. Cosa di più oltraggioso del bicchiere senza stelo disegnato da Maximilian Riedel, rampollo della casa austriaca venerata per i suoi calici, ispirandosi ai film in cui Michael Douglas, di cui è fan, tracanna whisky? Ma il mito in Francia non è mai disgiunto dallo spirito rivoluzionario. E dalla ricerca del piacere. Sicché quando la Moet si è accorta che sulle spiagge di Saint Tropez si beveva champagne con ghiaccio, battezzato “Piscine”, non ha esitato e ha lanciato il Moèt Ice Imperial, un demi sec molto ricco, da variare con ingredienti sfiziosi, buccia di pompelmo, frutta, cardamomo. Consigliato anche prima durante e dopo lo sport, perché niente è meglio della leggera vertigine delle bollicine en plein air. “Non ricordo di aver mai bevuto champagne di prima mattina. Con la prima colazione, in molte occasioni, ma mai prima della prima” osserva un po’ confusamente Holly Golightly in Colazione da Tiffany. Nel caso del lunch, dunque, lo champagne adatto è un Blanc des blancs, non troppo vecchio e non troppo dosato, con una struttura lieve ed elegante, come un Ruinart blanc des blancs, adatto ad accompagnare tanto i croissant quanto le Oeufs Bénédict. La stessa regola vale per l’aperitivo, dove lo champagne è il solo, con il suo io polimorfo, a reggere lo shock di sapori a corrente alternata. La Maison Taittinger ne ha creato uno ad hoc, battezzato Prélude, anche se l’immagine pubblicitaria creata nell’88, modella Grace Kelly in abito nero a sirena, sembra rinviare a istanti erotici più che a vassoi di sfoglie, tramezzini, sushi e sashimi. Se poi si trattasse di solo caviale, servito “à la royale” o nell’incavo della mano tra indice e pollice, non si sbaglia con un Dom Pérignon, come ha voluto lo chef de cave Richard Geoffroy in occasione della presentazione del millesimo 2005. Passando alla cena, Truman Capote, snob delle frequentazioni e dello champagne, si dichiarava fan del Cristal per il “vetro di colore naturale che dà rilievo al suo pallido splendore”, perfetto sul soufflé Fùrstenberg, entrée prediletta di Jacqueline Kennedy e della sorella Lee Radzwill. Ma se si vuole dare un tono ricercato al pasto, l’idea più furba è quella suggerita da Richard Juhlin, uno dei massimi esperti in materia: puntare sullo champagne a tutto pasto anziché sulla cucina. Per esempio: con un primo della tradizione come un risotto o un timballo, ci vuole uno champagne ricco e complesso come il Krug Grande Cuvée; su un piatto di pesce leggero con una salsa al burro, una cuvée de prestige, cioè il top di gamma di ogni Casa, come la Cuvée Louise Pommery oil Nec Plus Ultra Bruno Paillard, fermentato in barrique. Una tacchinella farcita o un cappone risulteranno nobilitati dalla rotondità del Pinot nero, che domina nel Belle Epoque di PerrierJouèt. E per terminare, al dessert, ecco la dolcezza ben equilibrata di uno dei pochi demi sec d’annata come il Rich Réserve di Veuve Clicquot. Winston Churchill, grande bevitore e intenditore, fan del Pol Roger, sosteneva che il formato ideale per lo champagne è il Magnum, “a condizione di essere da soli”. Eccessivo, forse, per quanto riguarda la quantità, ma esatto per quanto attiene al formato. Delle dieci misure canoniche, si possono lasciare tranquillamente a Dubai e dintorni le maxi, come il Nabuchodonosor da 15 litri o il Mathusalem, da 6 (spesso creati versando bottiglie più piccole nella grande, con calo vistoso di qualità), mentre il Magnum, pari a un litro e mezzo, è risultato nelle prove super professionali di uno stesso champagne il più adatto a valorizzarne il carattere. A che temperatura? “Freddo ma non gelato” direbbe James Bond, altro grande consumatore di champagne. Otto-dieci gradi, ma anche un po’ sotto, perché 1 o 2 gradi si recuperano subito se non si brinda nel gelo. Infine, stappare, versare, porgere: per decenni rito maschile, oggi nuovo gesto femminile chic. Tenendo inclinata la bottiglia, si tolgono con delicatezza la capsula e la gabbietta. Si applica una piccola rotazione al tappo e lo si spinge verso l’alto con il pollice controllando l’uscita della pressione con l’altra mano, per farla uscire con un sussurro (se il tappo resiste, è pronta l’apposita pinza). Sostenendo la bottiglia sul fondo e sul collo, come un infante, si mesce in due tappe, lentamente, per evitare troppa schiuma; ma, se succede, si passa all’ospite accanto e poi si rabbocca. Il livello del vino non deve superare la metà del calice. Necessario esercitarsi. Quiz ineludibile quando si ha a che fare con il più leggendario dei vini. Primo: piccolo, ovvero artigianale fatto da mini produttori, è bello? In realtà, tranne rare eccezioni, solo i grandi marchi hanno la possibilità di scegliere a seconda delle annate e dei cru e garantire ogni anno il meglio. Secondo: è vero che lo champagne va bevuto giovane? No, le cuvée de prestige delle più importanti Case escono dalle cantine non prima di 10-15 anni dalla vendemmia. Senza prendere a modello le bottiglie di Veuve Clicquot recuperate nel 2010 da un vascello diretto alla corte dello Zar e affondato 150 anni fa nel Mar Baltico. Terzo: lo champagne è sempre superiore ai nostri migliori “metodo classico”? No. Ci sono prodotti italiani del tutto confrontabili per metodo, uve e stili ai migliori francesi.

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