C’è un tema, assolutamente centrale in Francia, uno dei Paesi “top player” del vino, che in questo senso ha fatto una sorta di fuga in avanti, ma di cui si inizia a discutere anche a livello europeo, che è quello dell’estirpazione dei vigneti. Il motivo è noto, come abbiamo scritto più volte su WineNews: riequilibrare il mercato e non far crollare i prezzi, con gli estirpi partiti a Bordeaux, e con la Francia che ora ha chiesto il via libera alla Commissione Europea per finanziare con 120 milioni di euro l’estirpo di massimo 30.000 ettari di vigna a livello nazionale, con un premio fino a 4.000 euro. Ma l’argomento divide, e non manca, infatti, chi è contrario alla soluzione degli espianti. Contrarietà netta, da tempo, è la posizione dell’Unione Italiana Vini (Uiv), una realtà con 770 aziende associate che rappresentano oltre 150.000 viticoltori, più del 50% del fatturato italiano di vino e oltre l’85% di quello legato all’export, come ribadito dal presidente Uiv, Lamberto Frescobaldi, nella presentazione delle stime vendemmiali 2024, oggi, ad Ortigia, a “DiviNazione Expo” 2024, mentre più possibilisti, ma a certe condizioni, sono sembrati il Ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, secondo cui in alcune zone se ne può parlare, ma prevedendo “una riconversione semmai ad altre colture, perché non vogliamo l’abbandono del territorio”, ed il presidente Assoenologi Riccardo Cotarella, secondo cui “espiantare vigna in maniera indiscriminata è sbagliato, ma in certe zone o territori è un tema di cui si può discutere”, premettendo però che il vero problema, ha detto Cotarella, sono le rese eccessive (in pianura si arriva anche fino a 400 quintali ad ettaro), che danneggiano la qualità, abbassano i prezzi e penalizzano la viticoltura di collina.
In ogni caso, che gli espianti non siano una soluzione, secondo Unione Italiana Vini, lo dicono i numeri. “Negli anni in Italia ci sono stati espianti, e si è perso vigneto (dagli 800.000 ettari del 2000 ai 675.000 del 2023, ndr), ma nel frattempo in qualche vendemmia si sono prodotti anche 53 o 55 milioni di ettolitri di vino. Gli espianti non sono la soluzione, si estirpano vigneti già poco produttivi. E poi, guardiamo alla Francia: 4.000 euro ad ettaro non sono un granché. Parliamo, però, in totale, di 120 milioni di euro, e noi in Italia non vogliamo perdere risorse per la comunicazione, per esempio, dei fondi Ocm, che sono stati fondamentali. Magari riflettiamo sul +1% di aumento della superficie e come gestirlo. Se prendiamo la Toscana come esempio - ha detto Frescobaldi - oggi si tratterebbe di 560 ettari: magari, se nessuno li chiede in altri territori, vanno tutti a Montalcino e Bolgheri. Inizialmente fuori denominazione, dove gli albi dei vigneti sono chiusi, ma intanto si piantano vigneti nei territori”.
Secondo Frescobaldi, il tema centrale da affrontare è quello delle rese, ma non solo. “Dobbiamo affrontare il tema della riduzione delle rese, perché a volte si parla di questo rispetto al potenziale vinicolo, ma poi i numeri non sempre tornano. Abbiamo strumenti come le riserve vendemmiali, che in Italia si usano poco, che permettono di accantonare il prodotto per annate magari più scarse. Dobbiamo regolarci sui 40-43 milioni di ettolitri all’anno, non aumentare questa soglia. Incrementare la promozione è, invece, fondamentale, abbiamo tanti italiani nel mondo, nella ristorazione, portiamo loro i nostri vini. Va gestito anche il cambiamento climatico, se piantiamo il Pinot Grigio ovunque, e poi lo raccogliamo il 18 agosto, qualcosa non va, vuol dire che servono, per esempio, zone più fresche”.
In ogni caso, l’ipotesi di finanziare l’espianto dei vigneti è sui tavoli europei, ma per Unione Italiana Vini è una strada sbagliata. Con Frescobaldi che ricorda come, nel recente passato, “abbiamo già speso poco meno di 300 milioni di euro tra 2009 e 2011 per estirpare 31.000 ettari di vigneti, soprattutto collinari e ad alta vocazione. Risultato? Abbiamo depauperato i territori, e due anni dopo aver tolto l’ultimo vigneto, abbiamo prodotto - ha ribadito - la bellezza di 53 milioni di ettolitri, ed era il 2013. Stiamo pensando di ripercorrere questa strada? Come Uiv, abbiamo fatto un paio di conti, sul modello francese, perché ancora in Italia non si parla di cifre, su quanto ci costerebbe in termini economici e produttivi eliminare 30.000 ettari pagando 4.000 euro ognuno. Bene, si spenderebbero 120 milioni di euro per togliere dal mercato circa 2 milioni di ettolitri sulle rese medie dei vari territori. Intanto, con i ritmi di crescita del vigneto (1.600 ettari per anno circa), arriveremmo al 2030 con 650.000 ettari, capaci di produrre comunque 52 milioni di ettolitri nelle annate abbondanti, ma scendere a 35 milioni in quelle scarse come la 2023. Vorrebbe dire che lo svarione tra un’annata abbondante e una scarsa potrebbe anche essere di 17 milioni di ettolitri, in difetto o in eccesso: ecco, io non so come si possa pensare di fare programmazione con questi salti mortali. Togliere 30.000 ettari non serve automaticamente a calmierare le potenzialità del vigneto, ma sicuramente espone al rischio di shock in caso di annate scarse, sempre più frequenti negli ultimi anni”.
Unione Italiana Vini propone, piuttosto, di concentrarsi su meccanismi di contenimento “just in time” per quelle annate previste abbondanti e quindi puntando sulla “riduzione reale delle rese dei vini Dop e sull’eliminazione degli esuberi; la sospensione delle deroghe per le rese dei vini comuni, da riportare a 300 quintali per ettaro; l’attuazione di vendemmie verdi con incentivi più appetibili; e l’utilizzo di meccanismi “polmone”, come le riserve vendemmiali. Parlando di potenziale, l’obiettivo del nostro Paese deve essere quello di stare il più regolarmente possibile su una soglia produttiva di 43-45 milioni di ettolitri, quantitativo dimostratosi storicamente di più facile gestione. A livello strategico, piuttosto che utilizzare risorse per distruggere vigneti e prodotto, la preoccupazione principale dovrebbe essere quella di sostenere chi, pur tra mille difficoltà, vuole restare in questo business attraverso sostegni mirati e sempre più razionali, che coprano anche la ricerca scientifica”. Le priorità, in questo caso, riguardano, continua Frescobaldi, “il tema della risposta allo stress climatico, a partire dal vigneto, con la selezione (o anche riscoperta) di varietà e cloni resistenti, a maturazione tardiva o a minore potenziale zuccherino. Questa deve essere la base per sviluppare produzioni che possano rispondere ai mutati gusti dei consumatori, quindi vini più leggeri, a bassa gradazione, per arrivare ai dealcolati o gli alcol zero”. Ed ancora, “il tema del potenziale produttivo, con la rivisitazione del sistema delle autorizzazioni a pioggia, che va sostituito con rilasci mirati verso quei territori/aziende che hanno reali capacità di sviluppo. E il tema del sostegno alla promozione sui mercati, misura che va resa sempre più performante attraverso non solo snellimenti burocratici, ma soprattutto con la concentrazione di risorse su progetti altamente qualificati e che dimostrino a consuntivo di aver realmente contribuito allo sviluppo dei territori o delle aziende. I tempi sono drasticamente cambiati e stanno cambiando in maniera radicale e veloce. Il nostro settore necessita di guardare al futuro in maniera laica e di massicce iniezioni di managerialità a tutti i livelli. Le decisioni che prendiamo oggi avranno ripercussioni sui prossimi dieci - vent’anni, non possiamo permetterci errori”.
Anche perché, in definitiva, “lo scenario per la chiusura di questo 2024 e per il 2025 non è dei migliori: abbiamo una vendemmia che in qualche modo bissa quella dello scorso anno. L’estate in termini quantitativi ha visto flussi turistici in aumento, soprattutto dall’estero, tanto che a un certo punto ci siamo lamentati delle troppe presenze turistiche ammassate nelle grandi città, il cosiddetto “overtourism”. Poi però vediamo i rapporti della ristorazione, e il sentiment è preoccupante: secondo i dati Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi, ndr) relativi al secondo trimestre del 2024, il saldo tra aspettative positive e negative sui fatturati scende a -23%, con un -40% in relazione ai coperti registrati. Abbiamo la fortuna di essere un Paese che attrae, ma la sciagura di non saper gestire e indirizzare i flussi in maniera omogenea su tutto il territorio, cosa che per il vino sarebbe di straordinaria importanza. Per effetto di tutto questo, ci troviamo oggi con aree produttive che stanno bene, egregiamente bene, vedi i territori che producono il Prosecco o quelle che hanno saputo costruire nel tempo flussi enoturistici consolidati, come Montalcino o l’Etna, tanto per citare due casi scuola; altre che invece soffrono profondamente, ed oserei dire in silenzio”.
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