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AGRICOLTURA

Pesticidi, li contiene quasi la metà dei cibi che arrivano sulle nostre tavole

Dal dossier Legambiente emerge che solo il 54,8% dei campioni analizzati non ha residui di fitofarmaci. Urgente l’approvazione di un regolamento

Il 44,1% degli alimenti che arrivano ogni giorno sulle tavole degli italiani contiene pesticidi (tracce di uno o più fitofarmaci), mentre il 54,8% dei campioni ne risulta priva. La frutta si conferma la categoria più colpita: oltre il 70,3% dei campioni contiene uno o più residui. Da segnalare l’uva da tavola (88,3%), le pere (91,6%) e i peperoni (60,6%). Tra gli alimenti trasformati, il vino e i cereali integrali sono quelli con maggior percentuali di residui permessi, contando rispettivamente circa il 61,8% e il 77,7%. Tra i pesticidi più rintracciati ci sono Acetamiprid, Boscalid, Fludioxonil, Azoxystrobina, Tubeconazolo e Fluopyram. Sono questi i dati che emergono dal dossier di Legambiente “Stop Pesticidi nel piatto”, che fotografa la situazione, da nord a sud della penisola, circa l’utilizzo di fitofarmaci in ambito agricolo: secondo l’associazione ambientalista è fondamentale approvare quanto prima il Regolamento per l’utilizzo dei fitofarmaci e il nuovo Piano di Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari.
Nel rapporto annuale di Legambiente, in collaborazione con Alce Nero, realizzato per fare il punto della situazione sui fitofarmaci presenti negli alimenti che ogni giorno arrivano sulle tavole degli italiani, il primo dato eclatante, in controtendenza rispetto all’edizione precedente, è l’aumento dei campioni in cui sono state trovate tracce di pesticidi. Al centro dell’indagine 4.313 campioni di alimenti di origine vegetale e animale, compresi i prodotti derivati da apicoltura di provenienza italiana ed estera, analizzati nel 2021. Nonostante la bassa percentuale di campioni irregolari, quindi con principi attivi oltre le soglie consentite, pari all’1% (in lieve diminuzione rispetto all’anno precedente), è necessario evidenziare che solo il 54,8% del totale dei campioni risulta senza residui di pesticidi. Lo scorso anno, la rilevazione aveva raggiunto quota 63%. A destare preoccupazione è, inoltre, il 44,1% di campioni in cui sono state trovate tracce di uno o più fitofarmaci, tra monoresiduo (14,3%) e multiresiduo (29,8%), seppur nei limiti di legge. 90 le sostanze attive rintracciate, tra cui un campione di uva con 14 residui, uno di pere con 12 residui, uno di peperoni con 10 residui.
Dai dati Efsa, risulta altresì campionata una fragola proveniente dall’Unione Europea con 35 diversi residui. “Dall’analisi dei dati rilevati - dichiara Angelo Gentili, responsabile agricoltura Legambiente - emerge chiaramente la necessità di intraprendere la strada dell’agroecologia con ancora più determinazione, mettendo in atto, in maniera convinta e senza tentennamenti, quanto stabilito dalle direttive europee Farm to Fork e Biodiversity 2030. Con l’approvazione della legge sul bio - spiega - indubbiamente è stato fatto un importante passo in avanti. Adesso serve passare dalla teoria alla pratica, affinché quel traguardo non risulti solo una bandierina ma un patrimonio per l’intero settore. Servono, quindi, meccanismi incentivanti attraverso cui dare gambe e fiato alla transizione, a partire dalla messa a disposizione di risorse. Serve, inoltre, che vengano applicate in maniera stringente le norme, stando alla larga da eventuali ipotesi di deroghe all’utilizzo di specifici fitofarmaci, come purtroppo sta avvenendo con il glifosato. È, inoltre, di fondamentale importanza approvare il regolamento per l’utilizzo dei fitofarmaci (SUR) presentato lo scorso 22 giugno dalla Commissione Europea e che prevede obiettivi di riduzione dell’uso dei pesticidi legalmente vincolanti per gli Stati membri, a oggi a rischio a causa di continue richieste di rinvii da parte di alcuni Paesi tra cui l’Italia. Occorre infine - conclude - aumentare significativamente le aree coltivate a biologico che rappresentano un metodo efficace di ridurre gli input negativi in agricoltura”.
“Il nostro Paese - dichiara Giorgio Zampetti, dg Legambiente - si sta dimostrando esempio virtuoso per l’intera Europa in fatto di riduzione dell’uso dei pesticidi, grazie soprattutto alle sempre più numerose aziende che scelgono l’agricoltura biologica, non di certo a politiche nazionali significative in tal senso. A conferma di ciò basti pensare al raggiungimento della quota del 17,4% di Sau (Superficie Agricola Utilizzata) condotta con metodo biologico. È, quindi, necessario un impegno più incisivo, considerando la richiesta dell’Unione Europea di raggiungere un taglio dell’uso del 62% dei pesticidi entro il 2030. Il nuovo Governo prosegua nel solco tracciato e permetta davvero, come previsto anche dalla nuova nomenclatura del Ministero, al made in Italy sano e pulito di divenire apripista del cambiamento. Quanto stabilito fino ad ora da Pac e Psn non ha permesso di raggiungere pienamente questo obiettivo. Serve pertanto un’accelerazione, soprattutto in un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo. I dati sul biologico fanno ben capire come la mancata transizione possa influire negativamente anche sulle buone pratiche: serve andare nella direzione contraria, verso una piena rivoluzione green dal campo alla tavola, a partire dall’approvazione del nuovo Pan (Piano di azione nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari). L’ultima stesura risale al 2014, la scadenza al 2019. È, quindi, urgente risolvere anche questo nodo”.
“Anche per i consumatori è sempre più chiaro il legame esistente tra agricoltura, cibo e salute dell’ambiente e delle persone - sostiene Erika Marrone, direttrice Qualità, Ricerca & Sviluppo, Filiere di Alce Nero - L’agricoltura modella non solo il nostro paesaggio e la nostra economia, ma anche le nostre comunità ed è onnipresente nelle nostre vite. Proprio per questo ci aiuta a pensare in modo più consapevole a quanto sia cruciale oggi la transizione a modelli produttivi alternativi; tra questi l’agricoltura biologica e le diverse forme di agro-ecologia costituiscono oggi una risposta concreta e scientifica non solo alla questione climatica, ma anche alla mitigazione dei rischi per la salute dei consumatori derivanti, soprattutto, dall’esposizione cronica alle molecole chimiche capaci di alterare tanto gli ecosistemi quanto gli equilibri del nostro organismo fin dalla vita intra-uterina. I traguardi fissati dalla strategia Farm to Fork e la nuova legge sul niologico sono segnali importanti ma non sufficienti ad agire un reale cambiamento; da un lato sono le istituzioni a dover creare le condizioni abilitanti ma, dall’altro, abbiamo bisogno come imprese di creare alleanze non solo di filiera ma sempre più orizzontali e trasversali”.

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