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SOLUZIONI

Qualità, sostenibilità, longevità del vino: per Lanati la risposta è nella pianta franca di piede

Il fondatore del Centro di Ricerca Enosis Meraviglia: “le soluzioni non sono impossibili, bisogna puntare su sperimentazione e ricerca”

Si parla spesso di sostenibilità ambientale, di clima e di siccità ma, oggi, per produrre un litro di vino occorrono 600 litri di acqua, mentre con le piante franche di piede ne basterebbe meno della metà. La ricerca deve andare in questa direzione, trovando soluzioni che contrastino quelle malattie che, da oltre un secolo, impongono l’utilizzo dei portinnesti americani. Le soluzioni non sono facili, ma neppure impossibili. Vanno ricercate attraverso la conoscenza, lo studio, la ricerca, la sperimentazione e il rinnovamento continuo, alzando lo sguardo oltre i consueti orizzonti. Poi, ci vogliono passione, curiosità, intuizioni e un pizzico di genialità”. Così, dalla conferenza “Le origini della vite”, di scena nel Castello di Grinzane Cavour, l'enologo e ricercatore Donato Lanati ha rilanciato un grande tema, spesso in secondo piano, come quello del ritorno alla vite franca di piede come soluzione pragmatica verso una viticoltura sostenibile. 

Una soluzione che necessita di studi, sperimentazioni e ricerche, come quelli portati avanti dalla squadra di scienziati biologici, chimici ed enologi del Centro di Ricerca Applicata all’Enologia Enosis Meraviglia di Fubine. “Tornare a produrre con la pianta franca di piede - aggiunge Lanati - significa apportare un grande valore aggiunto alla nostra enologia, in termini di sostenibilità, oltre che di qualità e di longevità del vino, nonché di difesa della pianta dalle malattie e dai cambiamenti climatici. Basta guardare all’esperienza georgiana, dove tutto ebbe inizio”.

Dalle radici della viticoltura al suo arrivo nella penisola italiana, “il vino è un evergreen con almeno 8.500 anni di vita, la cui storia non è stata segnata solamente dagli accadimenti naturali, bensì dal terroir, nell’accezione francese che incorpora suolo, clima, vite e, soprattutto, lavoro dell’uomo”, ricorda Donato Lanati. “Le bottiglie non crescono attaccate alla vite e la varietà, da sola, non determina la qualità. Negli ultimi duemila anni, in Italia, sono stati gli uomini dediti alla viticoltura a individuare gli areali e le esposizioni migliori, per tirare fuori l’eccellenza dai diversi vitigni. Ed è grazie a loro che, a differenza dei cugini dell’Oltralpe, contiamo su un patrimonio varietale senza pari, che si sviluppa lungo l’intero stivale. Certo, i francesi sono partiti prima a produrre un’alta letteratura scientifica e a legiferare in materia; inoltre, sono stati più bravi nella comunicazione, ma l’Italia, se vuole, ha molta più sostanza per fare anche meglio”, conclude il fondatore del Centro di Ricerca Enosis Meraviglia.

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