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Qualità, unione, comunicazione: ecco come il vino può cambiare, superando anche i dazi

A Vinitaly 2025, l’incontro “Wine in Transition: embracing change in a dymanic industry”. Presentato il progetto “Genevitis” by Mack & Schühle

Mai come in questo momento il vino si trova ad interrogarsi sul proprio futuro. Oltre ai problemi ormai ben noti, e quindi dal calo dei consumi all’interesse che va scemando nelle nuove generazioni, dagli effetti dei cambiamenti climatici all’avvento di nuovi prodotti che modificano il panorama del beverage, si è aggiunta, da pochi giorni, la questione dei dazi imposti dagli Usa di Donald Trump (20%) che avrà i suoi effetti anche per il vino italiano con gli States che sono il principale approdo sul fronte estero. Tutti temi che sono stati trattati in “Wine in Transition: embracing change in a dymanic industry”, ieri a Vinitaly 2025 a Verona, in un incontro moderato da Luciano Ferraro, vicedirettore del “Corriere della Sera”, con Danielle Callegari, writer e reviewer di “Wine Enthusiast”, Eleonora Formisano, sales director NielsenIQ, Diana Lenzi, direttore operativo Filiera Italia, Cristina Mercuri, DipWset, wine educator e founder Mercuri Wine Club, oltre che ambassador “Genevitis”, il progetto di filiera presentato da Mack & Schühle Italia, Luigi Scordamaglia, presidente Eat Europe, e Riccardo Velasco, direttore Crea.
Eleonora Formisano ha parlato delle possibilità per il vino italiano fuori dagli States
: “oltre agli Stati Uniti il grosso dell’export è in Europa, dove ci sono mercati in crescita come la Polonia”, ma anche il Sud America con Brasile, Cile e altri Paesi che offrono potenziale, è il caso di Messico e Corea del Sud. “Occorre pensare ad un piano B”, sottolinea Formisano, che, tra i trend italiani rimarca, per il fuori casa, una “forte attenzione al consumo, legato anche al nuovo Codice della Strada. Le prime evidenze sono per la componente salutistica: nascono nuove modalità di consumo, al di là dell’analcolico c’è anche l’esigenza di avere un bel cocktail da fotografare per i social, i ready to drink, utilizzati in particolare nel momento aperitivo e pre-cena. Questi hanno successo perché offrono un consumo pratico e accessibile ai giovani, può essere un’opportunità per le aziende vinicole di lavorare in questa categoria che sta crescendo anche negli acquisti per la casa (sempre più “gettonata” come luogo di ritrovo e aperitivo, ndr). Nella Gdo, in particolare, ricordiamo che l’on trade italiano rappresenta oltre 3 miliardi di fatturato, e 740 milioni se parliamo di vino e spumante, quindi è una categoria molto importante. Il mercato è in crescita di fatturato con un leggero calo dei volumi, ma comunque in ripresa”. Ma con una differenziazione tra prodotto e prodotto. Spiccano, in modo positivo, spumanti e bollicine e non solo Prosecco perché “si sono spumantizzati tanti vini, e c’è, ad esempio, una crescita della Ribolla Gialla. Tra i vini fermi soffrono un po’ di più i vini rossi, ma sta aumentando l’importanza dei premium. Nel vino circa la metà degli acquirenti sono famiglie di oltre 55 anni che sviluppano quasi il 55% del fatturato di questa categoria, ma un’altra fascia di popolazione che sta crescendo è rappresentata dalle famiglie con figli più giovani che hanno un consumo di vino più basso, ma caratterizzato da una spesa più alta, in particolare bollicine”. Per quanto riguarda il binomio giovani e sostenibilità, “packaging e la filiera incidono. Ma è la qualità dopo il gusto ad incidere nella scelta del vino, il prezzo è solo il terzo elemento”.
Tornando agli Usa, Danielle Callegari ha ricordato che “il mercato americano rimane scoperto sul vino” e con ancora tante potenzialità: “ci sono 50 milioni di persone di cui due terzi bevono prodotti alcolici ogni tanto e la stragrande maggioranza non beve vino. Quindi c’è davvero tanta possibilità. Ma dobbiamo fare un passo indietro e presentare il vino al pubblico americano con un entusiasmo, energia e uno sguardo ottimista. Io insegno all’università e ci sono studenti che sono super-curiosi ed entusiasti, vogliono sapere sul vino, ma non sanno su quale canale informarsi. Dobbiamo stringere la mano a questa nuova generazione e smettere di creare ostacoli dove non esistono, e non immaginare che non bevono vino rosso a priori. Lasciamo la porta aperta e vediamo chi entra”. Alla domanda di Luciano Ferraro su cosa bevono i suoi studenti, “mi rispondono la cosa più economica e con più gradazione alcolica”. E temi come il “no alcol” e la sostenibilità sembra che non abbiano più di tanto presa tra le nuove generazioni a stelle e strisce. Sempre secondo la Callegari, il vino italiano dovrebbe andare di più “nei mercati secondari e terziari” degli Stati Uniti che presentano possibilità inesplorate.
Luigi Scordamaglia
 ha sottolineato, sul tema dazi, l’importanza del negoziare. Ma ha fatto anche un’altra considerazione: “se noi mettiamo insieme tutto il carico burocratico questo vale il 45% dei dazi. Pensiamo a “non auto daziarci” da soli”. Viene rimarcata anche l’esigenza di semplificare, tanto che “sempre meno aziende ricorrono agli Ocm” ha detto Scordamaglia, che non è affatto convinto dalle potenzialità del cercare mercati alternativi agli Stati Uniti per il food & beverage.
Diana Lenzi ha affermato che “nella contrazione dei consumi io vedo delle grandi preoccupazioni” in particolar modo dal cambiamento delle preferenze da parte delle nuove generazioni. E sul tema del “salutismo” secondo Lenzi , “bisogna essere molto forti nell’essere responsabili di fronte agli attacchi che ci sono”, ma saper anche reagire.
Riccardo Velasco ha ricordato “che le sfide per il settore vinicolo sono tante: noi del Crea partiamo dalla terra, stiamo puntando tantissimo sulla sensibilità della società civile alla gestione sostenibile dell’agricoltura” con i risultati che sono arrivati e con un invito sempre presente a puntare sulla “qualità”.
Per Cristina Mercuri “c’è anche un problema di come si comunica il vino” e in particolare con i giovani. Nel suo intervento ha parlato anche del progetto di filiera “Genevitis” che nasce dalla collaborazione delle cantine vitivinicole regionali, che garantiscono autenticità e qualità legate al territorio di produzione, con Mack & Schühle Italia, azienda privata specializzata nella produzione e distribuzione di vini italiani nel mondo: “può essere un’opportunità per il futuro, non solo in Italia ma anche all’estero. Abbiamo parlato di calo dei consumi che è intrinseco tra i giovani anche perché non hanno soldi da investire in vini di qualità. “Genevitis” è un progetto che lega le cantine cooperative ad una produzione di qualità, che lega il vino al suo territorio, alle sue origini, che viene fatto in collaborazione tra Mack & Schühle con diverse realtà del territorio proprio per creare dei vini che possano avere dei prezzi accessibili e siano di buona qualità: è interessante anche nel fare sostenibilità sociale perché crea opportunità di lavoro non solo nella produzione, ma anche nel branding. L’obiettivo è di applicarlo in ogni regione italiana”.

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