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ANALISI

Russia, tra propaganda e numeri reali, il momento del mercato del vino tra produzione e consumi

Dopo l’invasione dell’Ucraina, difficile avere un quadro chiaro, ma le esportazioni italiane corrono, così come le bollicine autarchiche
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Il vino in Russia

La prima vittima della guerra è la verità. La citazione di Eschilo, il padre della tragedia greca, è stata usata, e abusata, quasi da chiunque si sia trovato a raccontare l’invasione russa in Ucraina, che dal 24 febbraio 2022 ha precipitato il mondo occidentale nella peggiore crisi geopolitica, economica e sociale dal secondo Dopoguerra. Tanto citata quanto vera, visto che dalla Russia ciò che arriva in forma ufficiale è quasi esclusivamente propaganda, con il Governo di Mosca che, dentro e fuori dai confini nazionali, non lesina risorse per costruire una narrazione a suo modo rassicurante, di un Paese economicamente in salute e militarmente forte. E poco conta che il prezzo del gas - che regge una bella fetta dell’economia russa - stia precipitando: l’autarchia e la tenacia del popolo post sovietico, alla fine, avranno la meglio.

Difficile immaginare uno scenario del genere, specie a lungo termine, ma vale la pena provare quantomeno a ricostruire, per quanto è possibile, il momento del settore enoico in Russia, partendo dalla terra. Per anni, infatti, Mosca ha coltivato l’ambizione di diventare un grande produttore di vino: già nel 2017, quando la produzione interna toccò a mala pena i 370 milioni di litri, Aleksandr Tkacev, allora Ministro dell’Agricoltura della Federazione Russa, aveva rilanciato il progetto (iniziato qualche anno prima) di una enorme espansione del vigneto russo, fino a 140.000 ettari nel 2020.L’obiettivo, ribadito nel 2018, al Congresso dei viticoltori russi (All-Russian Winemakers Summit), era diventato poi quello di raddoppiare la produzione, ampliando le superfici vitate fino a 169.300 ettari, così da garantire una produzione di 1,3 milioni di tonnellate di uve da vino, contro le 665.000 della vendemmia 2017.

Dai numeri sulla produzione globale 2022 dell’Oiv, a mancare erano proprio i dati sul vino russo e su quello cinese, per cui per una stima non possiamo che affidarci a quanto raccontato negli ultimi giorni dall’agenzia di stampa russa Tass. Che ha raccontato dell’exploit della viticoltura nella Regione di Krasnodar, la più importante del Paese, che conta oggi su 29.600 ettari vitati, dove la produzione 2022 è cresciuta del 17,1%, a quota 333.700 tonnellate di uva raccolta per 2,13 milioni di ettolitri di vino prodotti, pari al 42% dell’intera produzione nazionale. Il calcolo, quindi, è presto fatto: il potenziale produttivo della Russia nel 2022 dovrebbe attestarsi sui 5 milioni di ettolitri, ossia il 13,6% in più del 2021.

Un altro aspetto interessante riguarda la produzione di vini spumanti, cresciuta del 25,38% nel 2022, arrivando a 1,41 milioni di ettolitri, di cui 620.000 ettolitri prodotti proprio nella regione di Krasnodar e 170.000 ettolitri nella Repubblica del Daghestan. Secondo la nota del Ministero dell’Agricoltura di Mosca, il merito è di una vendemmia ottima, certificata non solo dai dati produttivi, ma anche dai riscontri qualitativi, riportati dalla “Wine Guide of Russia”, una guida voluta dal sistema di monitoraggio della qualità dei prodotti russi (il Roskoshestvo), e dai Ministeri di Agricoltura e Industria, secondo cui oltre la metà degli spumanti russi merita un punteggio superiore agli 81/100.

Un giudizio decisamente opinabile, ma senz’altro utile a ridefinire la grandezza delle bollicine russe, specie dopo la fine della tregua tra Mosca e Parigi sullo Champagne. Nonostante nel 2021 le importazioni siano arrivate al record di 2,3 milioni di bottiglie (dati Union des Maisons de Champagne), dall’1 gennaio 2022 è tornata infatti in vigore la legge che impedisce allo Champagne di utilizzare il termine “Champanskoïe” - in cirillico - sulla retro etichetta delle bottiglie esportate sul mercato russo, “riservato” solo agli spumanti prodotti nel Paese.

Sarebbe interessante misurare gli effetti del conflitto sui consumi reali di Champagne, per capire quanto impatti sulla borghesia e sull’oligarchia di Mosca e quanto, invece, sul popolo. In questo senso, ha destato un certo stupore il dato sulle esportazioni dell’Asti Spumante in Russia nei primi sei mesi 2022, che hanno segnato una crescita del 33% sullo stesso periodo del 2021, con ben 4,18 milioni di bottiglie. Per il vino italiano non è un caso isolato, visto che secondo gli ultimi dati Istat nei primi nove mesi 2022 le spedizioni verso Mosca, nel complesso, sono tornate a crescere, arrivando a 93,35 milioni di euro, appena il 2,65% in meno dello stesso periodo del 2021. Nel mese di settembre, il valore del vino italiano volato in Russia è stato di 22,4 milioni di euro, contro i 16,7 milioni di euro di settembre 2021.

Che l’economia russa sia davvero in salute come racconta Mosca? Difficile, più probabile che ad accelerare la corsa agli acquisti, e quindi alle importazioni - che riguarda anche il vino della vicina Georgia, fornitore storico della Russia, da cui, nei primi 11 mesi 2022, ha importato 670.000 ettolitri di vino, per 150 milioni di dollari - sia stata la notizia, attesa, dell’aumento delle accise sulle bevande alcoliche, in vigore da inizio 2023. Un aumento pari al 4% in più sia per le bevande sotto i 9 gradi (a 613 rubli per litro di alcol etilico) che per quelle sopra i 9 gradi (a 490 rubli per litro di alcol etilico), ad eccezione del vino, per cui l’aumento è invece del 3%, a 34 rubli al litro (45 centesimi di euro), e della birra.

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