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SCIENZA E RICERCA

Sangiovese, Nebbiolo e Aglianico nello spazio, per disegnare il futuro della vite e del vino

Il progetto è lanciato da Agenzia Spaziale Italiana-Asi e Fondazione Italiana Sommelier (Fis). Le cantine? Biondi Santi, Gaja e Feudi di San Gregorio

Ci sarà un futuro, nemmeno troppo lontano, in cui nello spazio, oltre agli astronauti, andranno anche agricoltori e contadini. Inizialmente, per continuare a sperimentare l’agricoltura e la produzione di cibo nell’orbita terrestre, per esempio, sulla Stazione Spaziale Internazionale. Ma poi anche su colonie umane sulla Luna prima, e su Marte poi. A dirlo due personalità come Franco Malerba, primo astronauta della storia italiana, nel 1992, e Giorgio Saccoccia, presidente dell’Agenzia Spaziale Internazionale (Asi). Che, intanto, insieme a diversi partner, tra cui la Fondazione Italiana Sommelier (Fis), guidata da Franco Ricci, manderà in orbita barbatelle di Sangiovese, Nebbiolo e Aglianico (“un vitigno del Nord, uno del Centro e uno del Sud, rappresentanti della grande varietà italiana, ha detto Franco Ricci, a WineNews), fornite da cantine simbolo dei territori, ovvero Gaja, icona delle Langhe, Biondi Santi, storia di Montalcino, e Feudi di San Gregorio, faro dell’Irpinia, che manderanno nello spazio anche i loro vini: il Barolo 2017 ed il Barolo Sperss 1988 nel caso di Gaja, il Brunello di Montalcino Riserva 2015 e 2006 per Biondi Santi, ed il Taurasi Piano di Monte Vergine 2012 e 2015 per Feudi di San Gregorio. In un esperimento che, ha spiegato l’enologo Donato Lanati, tra i più visionari e alla guida del Centro Enosis Meraviglia, avrà due obiettivi: “sul vino, studieremo gli effetti dell’assenza di gravità su gusto, invecchiamento e aromi, con le bottiglie che resteranno in orbita per alcuni mesi, e che poi degusteremo insieme alle “gemelle” che resteranno sulla terra. Sulla vite, reimpianteremo le talee che saranno state nello spazio, insieme alle omologhe rimaste sulla terra, per capire se ci sono effetti soprattutto nell’ottica dello sviluppo di resistenze alle malattie, a partire da peronospora e fillossera”.
Un progetto visionario, lanciato oggi nel “Forum internazionale della cultura del vino” n. 15, di Fondazione Italiana Sommelier (Fis), di scena a Roma (Rome Cavalieri), con un titolo decisamente significativo, ovvero “Spazio infinito, eternità del vino. In onore di David Sassoli”.
E delle prime evidenze dell’effetto della permanenza in orbita su vino e vite ci sono già, come raccontato, tra gli altri, da Nicolas Gaume, founder di Space Cargo Unlimited, società che già nel 2021, nella Missione Wise, aveva mandato in orbita diverse bottiglie di uno dei miti di Bordeaux, Chateau Petrus 2000, e viti di Cabernet e Merlot.
“Il vino che poi abbiamo assaggiato comparandolo con quello rimasto sulla terra era sostanzialmente identico, al naso, ma più evoluto in bocca. Ma, soprattutto, - spiega Gaume - le viti che erano state nello spazio, reimpiantate a fianco di quelle terrestri, hanno mostrato di crescere più velocemente e di più, in dimensione, a parità di condizioni, e di essere molto più resistenti a fillossera ed altre malattie. Possiamo dire di aver creato, sottoponendole allo stress legato alla mancaza di gravità, due nuove varietà di Merlot e Cabernet, ed ora siamo lavorando con il vivaio francese Mercier, per capire se potranno essere commercializzate nel prossimo futuro”.
Un futuro in cui lo spazio giocherà un ruolo sempre più importante, come ha spiegato Massimo Claudio Comparini, ad Thales Alena Space Italia, altro partner del progetto. E tanti sono gli esperimenti che si possono fare sulle piante in orbita, come spiegato da Alessandro Donaty, general manager Kayser Italia, che produce strumentazione per la sperimentazione. “È un esperimento che serve a capire tante cose e per noi è un grande piacere farne parte, perchè Feudi di San Gregorio - ha detto, a WineNews, il produttore Antonio Capaldo - è nata per portare i vitigni della Campania in giro per il mondo e pensare di portarli nello spazio è più di un sogno, ci aspettiamo di capire di più del vino e dell’evoluzione della vita, e abbiamo grandi compagni di avventura”. “Penso che sia un segno di civiltà - commenta Angelo Gaja - mettere su una stazione spaziale un prodotto come il vino, e una pianta come la vite, per capire se nella permanenza nello spazio può subire delle modifiche, è un’anticipazione di un passaggio successivo che sarà quello di trovare un pianeta ospitale sul quale poi sbarcare, è un segno augurale, anche per il valore culturale e storico che ha il vino. È la bevanda mediterranea assolutamente più importante, un simbolo del made in Italy come non ce ne sono altre”. “Siamo molto entusiasti di partecipare a questa iniziativa - ha aggiunto Giampiero Bertolini, ad Biondi Santi - è un’emozione grandissima sapere che i nostri vini e le nostre barbatelle vanno nello spazio. Dire cosa ci aspettiamo è difficile al momento, come tutte le cose si tratta di fare della ricerca, che è quello che facciamo sempre di più anche in azienda da Biondi Santi a Montalcino, sia nei suoli che sui cloni, e quindi cerchiamo di capire se questo esperimento ci potrà dare informazioni utili. Ma va nel solco di quello che abbiamo ereditato dalla famiglia Biondi Santi, le nostre vecchie, e capire se avremo informazioni in più per il futuro, anche relativamente al nostro vino e al suo invecchiamento”. “Conoscere il vino, studiarlo, ha un fascino particolare. Oggi - ha aggiunto Franco Ricci - inizia un nuovo futuro, con l’impegno degli scienziati dello spazio alla sopravvivenza della vite, unica pianta che ha il nome di “vita” al plurale. Inizia un processo che può riprogettare il futuro, come 5.000 anni fa ha fatto chi ha inventato la ruota. Un futuro che, per noi, passa anche dalla preservazione della vite e del vino, che hanno accompagnato la storia dell’uomo attraverso i millenni”.

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