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SANGIOVESE, PER MOLTI MA NON PER TUTTI. POCHI POSSONO FARLO BENE, POCHISSIMI ALL’ESTERO LO CONOSCONO COME VITIGNO ... OGGI SE NE PARLATO NEL CONVEGNO “IL SANGIOVESE CHE VERRÀ”, DI SCENA A PETRA, UNA DELLE AZIENDE VITIVINICOLE DEL GRUPPO TERRA MORETTI

Italia
Il Sangiovese

Sangiovese è tutto chiaro? Probabilmente no, e il convegno “Il Sangiovese che verrà”, di scena oggi nella cantina firmata da Mario Botta per Petra, una delle “dependance” del gruppo Terra Moretti in Toscana, ha fornito spunti di nuova riflessione per uno dei vitigni più importanti dell’enologia italiana.
Secondo Marco Mancini del Centro Interdipartimentale di Bioclimatologia dell’Università di Firenze, “il Sangiovese sembra avere effetti benefici dall’innalzamento delle temperature e, quindi, i cambiamenti climatici in atto sembrerebbero favorirlo specialmente dal punto di vista dei tempi di maturazione, tendenzialmente lunghi e che, invece, soprattutto nelle ultime vendemmie, si sono decisamente abbreviati”. Ma se dal punto di vista di uno dei problemi più scottanti per l’intera agricoltura, il Sangiovese sembra uscirne, tutto sommato, abbastanza rinforzato, non è invece risparmiato da una seria criticità sul piano dei mercati. E’ emerso dalla discussione, infatti, anche un dato di una certa sorpresa: “il Sangiovese è un vitigno - ha sottolineato il giornalista neozelandese, Paul White - poco conosciuto, almeno nel nuovo mondo. Solo l’1-2% degli appassionati ha sentito parlare di questo vitigno. Questo anche perché gli italiani hanno “nascosto” il Sangiovese sotto le varie denominazioni che lo utilizzano, amplificando la difficoltà, peraltro comune a quasi tutte le denominazioni tutte del Bel Paese, di associare i vitigni di antica coltivazione italiani ai loro rispettivi vini. Il Sangiovese può aumentare la sua notorietà nel nuovo mondo, specialmente se verrà coltivato, come in parte è già accaduto, anche in Nuova Zelanda o in Australia. Così si apriranno spazi - ha concluso il giornalista - anche nei mercati con superiore potere d’acquisto, come la Cina”.
Il Sangiovese resta un vitigno affascinante sia per i vini che è in grado di esprimere, sia per le sue origini storiche, ma, al contempo, rimane uno dei vitigni più difficili da coltivare per le sue particolari caratteristiche botaniche e agronomiche, il che, ha spiegato il professor Attilio Scienza, ordinario di viticoltura dell’Università di Milano, “impone che sia coltivato non in modo indiscriminato e, soprattutto, da viticoltori esperti. Si tratta di un vitigno complicato - ha aggiunto Scienza - caratterizzato da elevate esigenze termiche, da un’alta produttività, da un grappolo compatto, da epoca di maturazione tardiva, a causa della sua lunga e irregolare maturazione fenolica, ed è spesso inadatto al lungo invecchiamento. Non è una varietà internazionale né credo che possa diventarlo - conclude il professore Scienza - non è un vitigno che garantisce una ampia possibilità di produrre vini costantemente di alta qualità, anche perché è molto sensibile alla diversità di altitudine, a quella geologica, al variare dell’esposizione, ecc …, occorre grande controllo nella sua coltivazione e nella sua resa, utilizzo di diversi cloni e grande lavoro in vigna, anche pianta per pianta”.

Focus - L’origine del Sangiovese
La patria del vitigno di antica coltivazione che da sempre ha caratterizzato la Toscana enoica, non è la terra che ha dato i natali a Dante ed a Petrarca, ma, la Calabria e la Campania. Il Sangiovese, infatti, secondo le ultime ricerche, che si sono avvalse delle più moderne tecniche di rilevazione genetica, è figlio, almeno in parte, di un vitigno indigeno calabrese, coltivato nel passato anche in alcune zone della Campania. Tutti i Sangiovese attuali sono mutazioni puntiformi di un unico individuo ancestrale, poco incrociato con altri vitigni a parte con i suoi “genitori”: il Ciliegiolo imparentato, a sua volta, appunto, con il Palummina Mirabella e il Calabrese Montenuovo.

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