02-Planeta_manchette_175x100
Allegrini 2024
VINO E TERRITORIO

Scelte diverse: nel progetto Es-Camo-Tage la versione secca e ferma del Moscato d’Asti

Idea di 8 giovani produttori (con la “benedizione” di nomi come Gaja, Altare, Massa e Petrini). Obiettivo: il miglior bianco secco da uve aromatiche

Acciughe, burro, salumi crudi e cotti, ma anche ostriche e formaggi dalle diverse stagionature. Questi sono solo alcuni degli abbinamenti possibili con il Moscato d’Asti Secco. Sì, proprio quell’uva - e di conseguenza quel vino - che siamo abituati a valutare solo accanto ai dolci, durante le festività natalizie e quando il tappo a corona schizza via per festeggiare il nuovo anno. In verità il Moscato d’Asti secco non esiste, perché non esiste questa denominazione, né tanto meno c’è il “Moscato Secco”. Chi crede in questa tipologia per ora lo chiama “Vino Bianco”. E i produttori che ci credono cominciano a crescere e, cosa interessante, sono tutti giovani tra i 25 e i 40 anni. Il gruppo più solido è fatto da otto aziende, riunite nell’associazione “Aroma di un territorio” e sono 499 Agricola, Guido Vada, Cerutti, Lodola, Tojo, Simone Cerruti, Tenuta il Nespolo, azienda agricola Teresa Soria. Il territorio è quello del Moscato di Canelli, la zona del moscato piemontese per eccellenza, con le colline raccontate da Cesare Pavese e Beppe Fenoglio, con i sorì - le colline esposte al sud - con pendenze pari anche al 70%, con un elenco dei cru che non esiste ancora - ma da tempo se ne discute - ma che tutti conoscono a menadito da queste parti. Se citi Valdivilla, Bauda, Coazzolo, Castiglione Tinella, Camo ed altri vengono in mente vigneti preziosi e fatica impressionante. Per fare un esempio, Cinque Terre e Costa d’Amalfi hanno simili se non uguali pendenze e sono patrimonio dell’Umanità Unesco.

I ragazzi di “Aroma di un territorio” partono da un assunto: fare qualità con basse rese, valorizzare i cru, proporre un modo alternativo di bere il Moscato, ovvero in modo secco. Ecco che allora nasce il progetto Es-Camo-Tage, un gioco di parole per aggirare l’ostacolo della mancata denominazione, ma anche per evidenziare la frazione Camo, dove ha sede l’associazione. L’idea si è tradotta in un bollino di garanzia sulle bottiglie, ma soprattutto in un disciplinare piuttosto rigido. Ne abbiamo parlato con Francesco Bocchino, tra i fondatori dell’associazione e vignaiolo con l’azienda Tojo: “eravamo partiti addirittura in trenta, raccogliendo tutte quelle aziende piemontesi interessate a fare una versione secca e ferma del Moscato. Siamo rimasti in otto, perché le regole che ci siamo auto-imposti sono davvero restrittive. Ad esempio il prezzo: non vogliamo svendere il nostro lavoro, quindi, sotto una certa cifra non si scende; niente tagli nel vino anche se è un semplice Vino Bianco; non più di 95 quintali per ettaro; niente chimica in vigna e in cantina. Alla fine siamo riusciti a mettere assieme 12.000 bottiglie in otto produttori”.
Il progetto ha numi tutelari importanti: Angelo Gaja li ha cercati la primavera scorsa per complimentarsi, Walter Massa ha partecipato alla presentazione del progetto il 19 ottobre dove ha sottolineato quanto questi otto produttori siano vincenti perché fortemente legati alle loro radici e al territorio, Elio Altare li ha incontrati per dar loro dei consigli in qualità di “ex Barolo Boys”. Esiste anche un libro, Moscato: pane, burro e acciughe - per ora solo online, la versione cartacea è stata bloccata dal lockdown - che è il racconto della loro “piccola rivoluzione”, un vino pensato dolce che invece sta benissimo con il salato e che vanta la prefazione di Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, che scrive: “le uve Moscato sono in cerca di un riscatto, e per tornare a essere simbolo di un territorio ormai snaturato da logiche di produzioni massive, hanno bisogno di qualcuno che dia loro una nuova possibilità”.

Come possiamo collocare il moscato secco nel panorama dei vini da mettere in tavola? “Vogliamo arrivare ad avere - ci spiega Bocchino - il miglior bianco fermo e secco da uve aromatiche. Il paragone con la sua versione dolce non ha molto senso. Trovo più corretto il confronto con altri aromatici trattati allo stesso modo, come la Malvasia delle Lipari, lo Zibibbo o il Gewurztraminer. Un vino anche contemporaneo perché si sposa bene alle cucine orientali e fusion , che gioca sul doppio registro del profumato/balsamico con gli aromi primari del moscato che comunque persistono, ma anche con sentori di erbe aromatiche che donano freschezza e lunghezza alla beva. Il passaggio successivo è capire come e quanto può evolvere. Scommessa in cui tutti e otto crediamo”.

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024

Altri articoli