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“Top 100” by Wine Spectator: gli Usa ancora in vetta, anche per numero di etichette (31), seguiti dalla Francia (18). Italia a quota 16, con la Toscana (6) ed il Brunello (3) mattatori, seguiti da Piemonte, Veneto e Campania (2)

Italia
Giacomo Neri, suo il primo vino italiano in Top 100 by Wine Spectator, Brunello di Montalcino 2012

Gli Stati Uniti fanno tripletta, e conquistano il gradino più alto della “Top 100” di Wine Spectator, una delle classifiche più attese dal mondo enoico, per la terza volta consecutiva, con il Merlot Napa Valley Three Palms Vineyard 2014 Duckhorn, mentre l’Italia enoica si spinge fino ad un passo dal podio, con il Brunello di Montalcino 2012 di Casanova di Neri, alla posizione n. 4, a conferma di una costanza qualitativa con pochi paragoni, dopo il primo posto, raggiunto nel 2006, con il Brunello di Montalcino Tenuta Nuova 2001. Per l’Italia, in tutto, sono 16 le etichette in chart, proprio come nel 2016, ancora lontani dal record del 2001, quando i vini in classifica furono ben 21.

A cambiare, è soprattutto la top 10, che dopo anni di “pluralismo”, con la presenza di Paesi emergenti, dalla Spagna alla Nuova Zelanda, dal Portogallo al Sudafrica, torna a diventare una cosa a due, massimo tre, con Francia e Usa a dominare, proprio come nel 2016, e l’Italia a spezzare il duopolio. Un po’ come nel 1988, anno della prima classifica firmata “Wine Spectator”, quando però i rapporti di forza erano ben diversi, e tra i primi dieci vini ce n’erano quattro dalla Borgogna, tre da Bordeaux, due dall’Italia (il Gaja Barbaresco Sorì Tildìn 1985 ed il Castellare di Castellina I Sodi di San Niccolò 1985) e solo uno dalla California.
Stesse proporzioni che, grosso modo, valgono per la “Top 100” nel suo complesso: sono 31, infatti, i vini americani, 16, come detto, quelli del Belpaese, 18 le etichette dalla Francia, 9 dalla Spagna, ma anche 6 dall’Australia, 4 dal Portogallo, 3 dall’Argentina e dalla Germania, 2 da Cile, Sudafrica e Nuova Zelanda e una dall’Uruguay.
Per l’Italia, svetta la Toscana, con 6 etichette in classifica, seguita dal Piemonte a quota 2, insieme a Veneto e Campania, Umbria, Calabria, Sicilia e Marche con un vino a testa. Dietro al Brunello di Montalcino 2012 di Casanova di Neri, l’Altesino Brunello di Montalcino 2012 Montosoli alla n. 11 ed il Campogiovanni Brunello di Montalcino 2012 Agricola San Felice al n. 20, per un podio italiano a tutto Sangiovese. Quindi, al n. 23, il Mazzei Maremma Toscana 2013 Tenuta Belguardo, seguito al n. 38 dal Luigi Einaudi Dogliani 2015, al n. 46 dal Poggione Rosso di Montalcino 2015 ed al n. 61 il Cantina del Pino Barbaresco Ovello 2013. E ancora, al n. 66 lo Scacciadiavoli Montefalco Sagrantino 2011, al n. 69 il Gini Soave Classico 2016, al n. 71 il Donnachiara Aglianico Irpinia 2015, al n, 80 il Michele Castellani Valpolicella Classico Superiore San Michele Ripasso 2015. Al n. 84 troviamo, invece, il Simone Santini Vernaccia di San Gimignano Tenuta Le Calcinaie 2015, al n. 92 il Garofoli Verdicchio dei Castelli di Jesi Podium 2014, al n. 94 il Di Meo Greco di Tufo G 2016, al n. 96 il Feudi del Pisciotto Nero d’Avola Terre Siciliane Versace 2015 e, infine, l’Odoardi Calabria 2014, per una presenza italiana forse mai tanto variegata e rappresentativa della ricchezza enologica del Belpaese (www.top100.winespectator.com).
Italia che, del resto, gode di una discreta tradizione: nei 28 anni di vita della “Top 100” della rivista Usa “Wine Spectator” è riuscita guadagnare il primo posto in tre occasioni: nel 2006, con il Brunello di Montalcino 2001 Tenuta Nuova di Casanova di Neri, nel 2001 con l’Ornellaia 1998 di Tenuta dell’Ornellaia, e nel 2000 con il Solaia 1997. Ma non è sempre andata bene, dal 1988 ad oggi: per tre volte, infatti, i vini del Belpaese sono rimasti fuori dalla top 10, nel 1989, nel 1996 e nel 1997. Per due volte, invece, l’Italia è riuscita a piazzarne ben 4 di vini tra i migliori 10, nel 2001, quando dietro all’Ornellaia 1998 di Tenuta dell’Ornellaia, alla posizione n.1, si piazzarono il Vino Nobile di Montepulciano Grandi Annate Riserva 1997 di Avignonesi (al n. 4), il Bolgheri Superiore Guado al Tasso 1998 di Antinori (al n. 6) ed il Barolo 1997 di Pio Cesare (al n. 7); e nel 2009, quando al n. 5 arrivò il Chianti Classico Castello di Brolio 2006 di Barone Ricasoli, al n. 7 il Barolo Marcenasco 2005 di Renato Ratti, al n. 8 il Flaccianello Fontodi Colli della Toscana Centrale 2006, ed al n. 10 il Brancaia Toscana Tre 2007.

Ma quella del Belpaese nella “Top 100” di Wine Spectator è una storia fatta di alti (molti) e bassi (qualcuno), con un filo conduttore ben preciso, ossia il “duopolio” di Piemonte e Toscana, le Regioni che, in questi 28 anni, hanno dominato la chart. Nel complesso hanno fatto meglio i toscani, anche se il merito va diviso tra diversi terroir e tipologie: fino al 1995, quando esplose il Brunello (sull’onda di una delle migliori annate di sempre, la 1990), erano soprattutto i Chianti e gli Igt (poi diventati “Super Tuscan”) a “tirare la carretta”, anche se nel 1993 fu il Piemonte a surclassare (11 a 3) i vini toscani, grazie alla vendemmia 1989 dei Barolo, tanto che furono ben 8 le etichette premiate.

Quasi sempre sopra i dieci vini presenti nella “Top 100”, il Belpaese ha però dovuto fare i conti con annate a dir poco negative: la performance peggiore fu nel 1997, quando la corsa si fermò a quota 4 etichette, ma non andò troppo meglio nel 1996, quando i premiati furono solo 6, e neanche nel 1989 e nel 1998, quando entrarono in classifica solamente 8 etichette tricolore. Il record nel 2002, con 21 vini in classifica (di cui 7 Brunelli, proprio come nel 1995), ma anche il 2011 è stata una grande edizione della “Top 100”, con 20 vini, proprio come l’edizione 2015, di cui, manco a dirlo, 4 Brunelli, 3 Baroli, 2 Chianti e 2 Barbareschi ... Ad eccezione di qualche sparuta incursione franciacortina o veneta, fino al 2000 non c’è stato spazio per nessun altra Regione che non fosse Toscana e Piemonte. In quell’anno, invece, fece la propria prima apparizione il Sud Italia, con un vino campano ed uno siciliano, e da allora in avanti il pluralismo non ha più abbandonato la rappresentanza italiana nella “Top 100” di Wine Spectator.

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