Nomi come Domaine de la Romanée-Conti o Henry Jayer, ancora, fanno storia a sé, per quotazioni, anche rispetto al resto della Francia. Ma nel mercato delle aste del vino, ed in particolar modo in Asia, “se si guarda soprattutto alle annate dagli anni Novanta in poi, non c’è più, nella media, la differenza abissale tra i grandi nomi francesi e i grandi d’Italia. E le prospettive, per i vini del Belpaese, sono più che positive, anche se serve tempo. Ma è meglio una crescita lenta e costante, che vuol dire che c’è un cambio di mentalità culturale, rispetto ad un balzo avanti repentino che può rappresentare una bolla”. A dirlo, a WineNews, Raimondo Romani, alla guida, insieme a Flaviano Gelardini, della Gelardini & Romani Wine Auction, casa d’aste italiana di riferimento nel mercato di Hong Kong.
Lo dimostra anche l’ultimo incanto battuto nei giorni scorsi nel Paese asiatico, dove è stato aggiudicato il 98% del valore del catalogo, con un incremento medio su base d’asta del 40%. E se il top lot è stato proprio l’assortimento di 29 bottiglie di Domaine de la Romanée-Conti, aggiudicato per 130.000 euro, quotazioni di tutto rispetto hanno spuntato anche i nomi più importanti d’Italia: dai 6.500 euro (+84% su base d’asta) per un lotto di Bruno Giacosa (1 magnum di Barbaresco Asili 2004, 9 bottiglie di Barbaresco Santo Stefano 2001, 6 Bottiglie di Barolo Le Rocche del Falletto Riserva 2000 e 5 bottiglie di Barolo Le Rocche del Falletto 1999), ai 4.000 euro per 3 bottiglie del mitico Sassicaia 1985 (+76% su base d’asta), o i 4.000 euro per le 3 magnum di Pergole Torte Riserva 1990 (+122%).
“L’aria è cambiata - spiega Romani - decisamente da quando siamo arrivati ad Hong Kong sette anni fa, se si pensa ai vini che si vendevano a 70 euro a bottiglia, ed oggi sono almeno a 200. Certo non sono cifre che fanno rumore, e del resto in Italia non abbiamo bottiglie come quelle del 1945 di Domaine de La Romanèe Conti che hanno spuntato quotazioni di mezzo milione di dollari nei giorni scorsi a New York. Ma il mercato non è fatto solo di realtà come queste, è come se parlando di auto pensassimo solo alla Bugatti. L’attenzione per il vino italiano è cresciuta e cresce molto, anche grazie alla tanta varietà che il nostro Paese sa offrire, che per il collezionista è accattivante e divertente, e nella media non c’è più l’abisso che c’era con la Francia. Di certo, l’aspetto della profondità di annata conta: i francesi, con Bordeaux e Borgogna, hanno tante etichette di livello che arrivano fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, noi di fatto, salvo rarissime eccezioni, partiamo dagli anni ‘90, o dagli anni ‘80 con qualche Barolo e Barbaresco e poco altro. Ma le cose stanno cambiando, ci vuole tempo, la prospettiva secondo noi è molto positiva. Anche perché il vino, in questo pezzo di mondo, sta diventando parte della socialità quotidiana a tutti livelli, non solo tra i super ricchi, e questo allarga di molto il mercato. Che, peraltro, sta andando decisamente sempre più verso vini eleganti e fini, a discapito di quelli più muscolari e potenti”.
E questo, spiega Romani, “si vedrà anche nell’aggiornamento che faremo nel 2019 della nostra classificazione dei Grand Cru d’Italia” (le 30 etichette di vino italiane più ricercate ed apprezzate da collezionisti ed investitori di tutto il mondo, classificate in base ai maggiori livelli di prezzo ed alla minore percentuale di lotti invenduti registrati dalla Gelardini & Romani Wine Auction, che attualmente vede al vertice assoluto il Brunello di Montalcino Riserva di Biondi Santi, il Masseto ed il Barolo Monfortino Riserva di Giacomo Conterno, seguiti, in seconda fascia, dall’Amarone della Valpolicella di Romano dal Forno e Giuseppe Quintarelli, il Barolo Riserva Rocche del Falletto ed il Barbaresco Riserva Etichetta Rossa di Bruno Giacosa, il Brunello di Montalcino di Case Basse di Gianfranco Soldera ed il Redigaffi di Tua Rita, ndr). Oggi c’è curiosità e voglia di diversità. L’Etna, per esempio, sta andando fortissimo, ci sono carte dei ristoranti ad Honk Kong che hanno assortimenti che raramente si trovano in Italia. Le persone, anche i collezionisti, cercano sempre più originalità, vini che raccontino storie e, più dell’azienda o del marchio, cercano l’espressione della vigna nel bicchiere”.
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