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Tra i fattori che sanciscono la fortuna commerciale di un vino, c’è anche il suo nome: come dimostra “Wine Intelligence”, c’è un legame diretto tra la semplicità e familiarità di pronuncia e la propensione all’acquisto da parte del consumatore

Sono innumerevoli i fattori che concorrono al successo commerciale di un vino: dal prezzo alla denominazione, dalla storia ai punteggi della critica, passando per l’etichetta ed il nome, perché, come dimostra uno studio di “Wine Intelligence” (www.wineintelligence.com), c’è una relazione diretta tra la facilità di pronuncia di un’etichetta e la propensione all’acquisto da parte del wine lover. Anche così si spiega il successo internazionale di Malbec, Rioja, Merlot, Pinot Grigio, magari a scapito di denominazioni o vitigni quasi impronunciabili, come Agiorghitiko o Kékfrankos, ma anche il fatto che, al ristorante, preferiamo non complicarci troppo la vita e, nel dubbio, ordiniamo un Sauvignon Blanc invece che un Gewurztraminer.
Per provare la propria teoria, il team di “Wine Intelligence” ha usato un creatore di parole random, da cui ha scelto 18 nomi inventati, di diverse lunghezze (due, quattro o più sillabe) e sonorità (più dolci, come “Vallume” o più dure, come “Kiraric”), per ipotetici vini da proporre sul mercato. Da “cavie” hanno fatto 900 consumatori americani, abituati a spendere una media di 10 dollari a bottiglia. E il risultato ha confermato le aspettative: più il nome di un vino è semplice da pronunciare, maggiore è il numero di persone pronte ad acquistarlo. Ciò che ha sorpreso i ricercatori, però, è l’impatto di questa relazione: la propensione all’acquisto è addirittura doppia per un vino dalla pronuncia semplice rispetto ad uno difficile da pronunciare. E ancora, da nomi semplici e dolci, ci si aspetta maggiore qualità, tanto che un nome familiare come “Miresa” crea aspettative altissime sul 25% dei consumatori, contro appena l’8% di un nome “strano” come “Jiofrax” e, nel complesso, le aspettative sono del 60% più alte per i vini dalla pronuncia semplice.
Questi risultati evidenziano due cose: in primo luogo che non possiamo sottovalutare l’impatto inconscio che i marchi hanno sulle intenzioni di acquisto e sulla qualità attesa, e poi il fatto che la familiarità e la facilità di pronuncia hanno un impatto decisamente significativo. Ma la cosa più importante che emerge da questo studio riguarda evidentemente le strategie da usare sui mercati emergenti, come Cina, Vietnam, Brasile, Messico, Russia, dove certo nome con “Sangiovese” o “Barolo” non sono né familiari né di tantomeno di uso comune ...

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