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ETICA E PRODUZIONE DI VINO

Tra responsabilità sociale e cultura d’impresa: la cooperazione del vino d’Italia guarda al futuro

Esperienze come di Libera Terra e SanPa, realtà leader dei territori come Cevico, Cantina di Soave e Codice Citra sotto i riflettori a Vivite
CANTINA DI SOAVE, CODICE CITRA, COOPERATIVE, LIBERA TERRA, SAN PATRIGNANO, vino, VIVITE, Italia
Il valore etico e sociale delle cooperative del vino sotto i riflettori a Vivite

Ruolo e significato della cooperazione vitivinicola si sono ampliati man mano che la complessità del sistema produttivo è aumentata. Lavoro di comunità, ma anche ricerca e governance territoriale laddove sono state raggiunte dimensioni ragguardevoli grazie a successive fusioni. La qualificazione dei vertici e dei collaboratori - enologi, agronomi, di marketing e commerciali - ha comportato la crescita dell’intero sistema, trasmettendosi ai soci. Una evoluzione quella della cooperazione che ha contribuito a dare slancio qualitativo alla produzione vitivinicola italiana garantendo cultura del lavoro ed etica del vino che sono state al centro del talk show “Vino cooperativo: buono davvero” a ViVite, il Festival del vino cooperativo di scena a Milano (17-18 novembre).
L’etica del modello cooperativo è declinata da tanti esempi di cooperative che fanno vino facendo soprattutto altro: dal recupero dalle tossicodipendenze all’offerta di lavoro a soggetti svantaggiati, fino a consolidare e mantenere vive comunità che altrimenti sparirebbero e a lavorare la terra sottratta alla criminalità organizzata.
“Possiamo dire di aver vinto la sfida intrapresa dai ragazzi ospiti della comunità grazie alla solidarietà - ha spiegato Angelo Totaro, enologo della cantina di San Patrignano, nata dall’omonima Comunità fondata alla fine degli anni 70 da Vincenzo Muccioli per il recupero dalle tossicodipendenze - la svolta della metà degli anni 90, grazie alla collaborazione con Riccardo Cotarella, con l’impianto di nuovi vigneti ed altre varietà, e al modello cooperativo ci ha portato riscrivere la storia enologica del nostro territorio”.
La “cultura” del vino cooperativo implica anche la legalità, cosa non sempre scontata. “Per noi stare nella legalità è normale e coltivando le terre confiscate alla mafia - ha sottolineato a questo proposito Francesco Citarda, presidente di Libera Terra che ha in Centopassi l’anima vitivinicola, con 65 ettari di vigneto in regime biologico e 500.000 bottiglie con etichette dedicate alle vittime della mafia - siamo riusciti a dimostrare che attraverso imprese sane si può fare sostenibilità a tutto tondo, economica, sociale ed etica. Le ricadute sulla collettività si traducono anche in una crescita della professionalità dei soci. Dico con grande soddisfazione che la credibilità del nostro progetto ha generato una immigrazione di ritorno. Certamente se il nostro vino non fosse di qualità non avremo avuto successo, tanto meno all’estero, che rappresenta il 7% del nostro fatturato”.
Dalle esperienze particolari di cooperazione a quelle “ordinarie”, i principi ispiratori non cambiano.
“I nostri obiettivi vanno oltre la qualità e la salubrità del vino - ha ricordato Pierluigi Zama, enologo Terre Cevico, 3.500 soci e 6.700 ettari di vigneto -ci stanno a cuore l’ascolto del territorio e la sua cultura. E poi c’è il coraggio di mettersi in gioco e fare cose nuove per valorizzare sia i vini base sia quelli di punta. Di qui la nostra collaborazione con l’Università nella ricerca”.
Un ruolo quello della cooperazione che può investire, dimensioni permettendo, anche la governance delle denominazioni. “Il primo compito di una cooperativa - ha spiegato Bruno Trentini, dg della Cantina di Soave, quasi 2300 soci, che è stata appena riconosciuta quale miglior produttore italiano dell’anno da International Wine & Spirits Competition - è quello di garantire il reddito dei soci, e questo scopo si raggiunge anche contribuendo all’indirizzo e al posizionamento delle denominazioni in cui si opera. Lavoriamo con i soci e con gli altri produttori perché senza una gestione collettiva delle Doc non ci può essere successo. È fondamentale inoltre la programmazione: non si può vinificare ciò che arriva senza avere precisi indirizzi produttivi e questo si può fare anche grazie alla tecnologia che permette di avere i dati di ogni appezzamento”.
Fondamentali quindi sono il peso specifico e l’innovazione nella cooperazione per orientare le produzioni. È il caso di Codice Citra che nel 1973 ha messo insieme 9 cooperative in una Regione, l’Abruzzo, ad altissima densità cooperativa vitivinicola, e nel 2017 ha varato un progetto di valorizzazione dell’identità vitivinicola regionale.
“Abbiamo avviato una collaborazione con Riccardo Cotarella e il suo staff tecnico - ha spiegato Valentino di Campli, presidente di Codice Citra, principale realtà vitivinicola abruzzese con 6.000 ettari di superficie vitata e 3.000 famiglie di soci - che ci consentirà di spingere sulla nostra identificazione territoriale, continuando a perseguire ancora meglio l’obiettivo di valorizzare e far conoscere i vini dei nostri vitigni autoctoni, Montepulciano, Trebbiano, Passerina e Pecorino, che rappresentano per noi il 95% della produzione”.
Guardando alla situazione attuale i vertici della cooperazione individuano diverse criticità.
“Ci auguriamo - ha detto Mauro Lusetti, copresidente Alleanza Cooperative Italiane - che questo Governo premi le imprese che mantengono la capacità di distinguersi, quelle che non delocalizzano, che salvaguardano i diritti e il lavoro delle persone. Tutti requisiti propri delle cooperative che anche in anni di crisi hanno continuato a crescere e a migliorare la vita dei soci. Siamo una scuola di democrazia, distribuiamo ricchezza sul territorio e offriamo una occasione di miglioramento sociale. Siamo preoccupatissimi per le difficoltà che si profilano a livello di commercio internazionale perché l’export è per noi, come per tutto il vino nazionale, essenziale a fronte di consumi interni che ristagnano”.
E su questo tema Maurizio Gardini, presidente Confcooperative e Alleanza cooperative italiane, ha sottolineato come sia necessaria una incisiva attività di accompagnamento delle cooperative del vino all’internazionalizzazione, oltre che l’alleggerimento della burocrazia.
Tra i meriti della cooperazione vitivinicola c’è anche quello di fornire ai privati vini a denominazione che nel passaggio acquistano maggior valore, accanto a una importante produzione di vini da tavola. “Produrre questi vini - ha ricordato Giampaolo Bonfiglio, copresidente dell’Alleanza delle cooperative agroalimentari - è già di per sé una buona mission perché garantisce lavoro e remunerazione ai soci. Ritengo che ci sia da lavorare maggiormente e meglio sulla loro promozione con i fondi nazionali coma accade in altri Paesi. I francesi, ad esempio, mettono in etichetta “Vin de France”, che indubbiamente aggiunge appeal, mentre i nostri vini da tavola riportano soltanto il colore, “Vino Bianco” e “Vino Rosso””.

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