È il metodo cosiddetto degli “antociani” e non quello del Dna quello più efficace e sicuro per tracciare l’origine del vino contenuto in ciascuna bottiglia di Brunello. È quanto emerso dal convegno “Tracciabilità del Sangiovese a Montalcino: ricerche e sperimentazioni per l’identificazione dell’origine”, organizzato il 24 maggio dal Consorzio del Vino Brunello di Montalcino e che ha riunito nella capitale del Brunello i maggiori esperti italiani del settore.
Dalle evidenze emerse è infatti il metodo del profilo antocianico, cui si affianca per una ulteriore definizione territoriale quello degli isotopi stabili, a far dormire sonni tranquilli ai produttori ma soprattutto al consumatore, indicando la presenza del vitigno in purezza. Questo metodo è risultato più attendibile rispetto a quello del Dna, che attualmente non consente risultati scientificamente riproducibili per un controllo sicuro ed esteso su tutta la produzione e soprattutto non è sufficiente a stabilire la purezza di un vino (se è cioè monovitigno nel caso del Brunello), ma solo se quel tipo di varietà (in questo caso Sangiovese) è presente, senza escludere quella di altri.
“Ringraziamo innanzitutto i ricercatori che hanno contribuito, con la loro esperienza e la loro serietà, a rendere possibile questo nostro sogno, che coltiviamo da molto tempo, di individuare un metodo scientifico per la tracciabilità del vino - ha commentato il presidente del Consorzio del Brunello di Montalcino Fabrizio Bindocci - crediamo sia un importante risultato, non solo per il panorama italiano ma anche per il settore enologico internazionale. Il merito va tutto ai ricercatori che hanno lavorato ai progetti, ma siamo fieri e orgogliosi di aver creato un “precedente” e contribuito, anche se indirettamente, allo sviluppo di un metodo di riferimento”.
Uno sviluppo non da poco vista l’importanza che sempre più sta assumendo la tracciabilità del vino, soprattutto di quei vini che contribuiscono a tenere alta l’immagine dell’Italia nell’enologia mondiale e che sul mercato internazionale hanno il suo sbocco più importante. Rassicurare gli enti che a livello internazionale presiedono al controllo di qualità, sicurezza e tracciabilità è un traguardo importante. Offrire loro una metodologia scientifica per farlo è uno strumento molto forte ed efficace a supporto dei produttori e del territorio, nonché un attestato di credibilità ed autorevolezza. Al convegno erano infatti presenti anche il presidente di Federdoc Riccardo Ricci Curbastro e Oreste Gerini in rappresentanza della Direzione Nazionale dell’Icqrf del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali.
“Non sono passati nemmeno dieci anni, era l’ottobre 2003 - ha commentato Riccardo Ricci Curbastro - dall’inizio dei piani di controllo sulla filiera del vino e ciò di cui si è parlato oggi a Montalcino era qualcosa di futuribile soltanto qualche anno fa. Il mondo del vino ha saputo affrontare la crisi perché ha fatto un passo avanti rispetto ad altri settori. Da Montalcino oggi è emerso un modello che può essere seguito anche da altri territori e altre denominazioni, un benchmark da utilizzare da chi crede nella tutela delle eccellenze italiane”.
Il Consorzio del Brunello, prima di altri, si è posto il problema della tracciabilità del prodotto e nel 2008 ha affidato un progetto di studio dei metodi per la tracciabilità varietale e geografica del Brunello di Montalcino a Fulvio Mattivi, coordinatore del Dipartimento Qualità Alimentare e Nutrizione presso il Centro Ricerca ed Innovazione della Fondazione Edmund Mach Istituto di San Michele all’Adige, riconosciuto anche dal Ministero e dalla Repressione Frodi.
Il principale filone sviluppato è stato lo studio della frazione colorante (antocianidinica) in vini sottoposti ad un lungo periodo di invecchiamento, che ha confermato che la formazione dei pigmenti nel vino segue un percorso che dipende dalla varietà e quindi è possibile tracciare con sicurezza il Sangiovese presente in quella bottiglia. “La possibilità di analizzare l’intero set di pigmenti presenti nei vini Sangiovese - ha dichiarato Mattivi - permette di avere una migliore comprensione dei meccanismi di trasformazione dei pigmenti durante la vinificazione e l’invecchiamento, fattori essenziali da considerare per tracciare la varietà Sangiovese nel vino”. I risultati della sperimentazione, sottoposta a prova concreta con l’analisi di 180 campioni di Brunello di Montalcino 2007 prelevati in commercio, e la metodologia messa a punto sono stati pubblicati nel 2012 su un’importante rivista americana e presentati alle autorità statunitensi, primo fra tutti il Ttb (Alcohol and Tobacco Tax and Trade Bureau) in un incontro svoltosi all’Ambasciata Italiana a Washington (scheda in allegato).
Gli altri due filoni della ricerca hanno riguardato lo sviluppo dei metodi che considerano il Dna, a cura di Stella Grando, referente per la genetica della Fondazione Edmund Mach Istituto di San Michele all’Adige, e gli isotopi stabili, a cura Federica Camin, responsabile della Piattaforma “Isotopi Stabili e Tracciabilità” del Centro Ricerca ed Innovazione della Fondazione Edmund Mach Istituto di San Michele all’Adige.
A sostegno invece della tesi favorevole al Dna è stata presentata la ricerca “Wine fingerprinting” sviluppata dal team guidato da Rita Vignani, coordinatore scientifico dell’area agronomica di Serge-genomics dell’Università di Siena, Dipartimento di Scienze della Vita. “La metodologia usata è parallela a quella usata in medicina forense - ha commentato Rita Vignani - il nostro è il primo studio che riporta che il Dna residuo presente nel vino è utilizzabile per ricostruire con buona approssimazione statistica l’identità del vitigno d’origine mediante amplificazione di marcatori molecolari, sia per i vini sperimentali che commerciali”.
“Nell’ottica della duplice tutela del consumatore e degli associati, e più in generale del territorio - ha aggiunto Bindocci - il Consorzio non esclude altre strade ed è ovviamente aperto a qualsiasi metodo che si dimostrerà altrettanto valido per determinare la caratterizzazione e la tracciabilità del prodotto. Se scientificamente provati, tali metodi rappresentano infatti un ulteriore ed importante strumento per certificare l’altissima qualità del Brunello”.
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