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ECONOMIA

Turismo e ristorazione, la ripresa c’è. Ma si rischia di non agganciarla, perchè manca manodopera

Mancano all’appello 400.000 tra camerieri, baristi e cuochi. A WineNews, le riflessioni di Aldo Cursano, vicepresidente Fipe/Confcommercio
ALDO CURSANO, CAMERIERI, FIPE CONFCOMMERCIO, PERSONALE, RISTORAZIONE, Non Solo Vino
Ristorazione e turismo: mancano 400.000 camerieri, baristi e chef all’appello

Il 2022 sarà un anno importante per la ripresa del turismo e del giro d’affari di bar e ristoranti, che sono strettamente legati. Diverse stime dicono che un terzo della spesa turistica è destinato alla tavola, e va a comporre gran parte di quegli 80 miliardi di giro d’affari che bar e ristoranti muovevano prima della pandemia. Ebbene, secondo un’indagine Demoskopika (lanciata in Borsa Internazionale del Turismo - Bit), il 2022 dovrebbe registrare 92 milioni di arrivi (+43% sul 2021) e 34 milioni di presenze tra italiani e stranieri (+35%). Non saranno ancora i livelli del 2019, ma, di certo, si tratta di una grande occasione di ripartenza per il settore di turismo e ristorazione, che rischia di non essere colta a pieno, perchè le aziende non riescono a trovare personale ed a girare a pieno regime. Un problema complesso, e spesso agli onori delle cronache, dove si semplifica tra due posizioni estreme: banalizzando, si va da “gli italiani non hanno voglia di lavorare e preferiscono il reddito di cittadinanza” a “le paghe sono troppo basse e non ne vale la pena”. Il dato di fatto è che tra professionalità perdute negli anni di pandemia e “stagionali” che non si trovano, al via della stagione estiva, mancano 400.000 lavoratori tra camerieri, baristi, cuochi e così via. Dato confermato e analizzato, a WineNews, da Aldo Cursano, vicepresidente vicario della Fipe/Confcommercio ed imprenditore nel settore della ristorazione a Firenze.
“Continua l’emergenza del settore anche se cambiano i connotati. Prima eravamo fermati dalla legge, con le chiusure, poi dalla manca di turismo. Oggi c’è lavoro ma mancano i lavoratori. È un problema serissimo: le aziende della ristorazione non riescono a soddisfare la domanda, devono ridurre i turni, prendere prenotazioni contingentate, sono costrette a rinunciare a cogliere in pieno questa domanda di tempo libero e di vacanze che i cittadini del mondo cercano, nelle città d’arte e tra poco al mare. C’è una disaffezione molto seria da parte non solo di giovani, ma anche di professionalità che ci hanno voltato le spalle in questi due anni di “stop & go” dove magari si è dato un valore diverso al tempo libero”. La situazione, evidentemente è complessa, nuova, e richiede paradigmi nuovi.
“Mancano tutte le figure: camerieri e baristi sono centrali, sono gli addetti all’accoglienza, sono coloro che lavorano alla sera e nei giorni festivi, ma mancano chef, pasticceri e così via. È cambiato lo stile di vita, l’approccio al lavoro, la pandemia ha cambiato le cose, e la considerazione del tempo libero. Lo vediamo nei nostri colloqui, perchè non si trova chi vuole lavorare la sera o nei fine settimana. Che è una cosa “contro natura” per questo mestiere, perchè chi lavora nella ristorazione e nei pubblici esercizi lo fa nelle feste e nel tempo libero degli altri. E se non si ricreano valori e motivazioni per far tornare i ragazzi e le persone a lavorare da noi, è un problema serio per l’enogastronomia del nostro Paese, che è un punto di forza del nostro stile di vita e dell’economia”.
Un problema che non si risolve con un schiocco di dita. “Stiamo cercando di correre ai ripari - sottolinea Cursano - ma abbiamo anche un paradosso grande nel nostro Paese: gli stipendi netti più bassi d’Europa, ma il costo del lavoro più alto del mondo. E allora si deve capire anche come usare la leva economica, ma anche a come gestire la maggior richiesta di tempo libero delle persone, altrimenti andiamo verso un fallimento del nostro sistema. Dobbiamo rispondere ad una situazione complessa: la pandemia, la guerra che fa sentire vulnerabili, la socialità perduta che si vuole recuperare, sono tutti aspetti che, veramente, stanno cambiando i comportamenti e le scelte delle persone. Ma il dato di fatto è che le aziende, non solo della ristorazione, cercano lavoratori, e la richiesta è diffusa. Al tempo stesso vediamo che c’è tanta disoccupazione e tanta richiesta di reddito di cittadinanza: vuol dire che il sistema non funziona. Se da un lato, si offre lavoro e, dall’altra, c’è tanta disoccupazione “remunerata” o persone che hanno questo beneficio del reddito a cui non si rinuncia - o che si usa come arma di ricatto, perchè chi viene a cercare lavoro detta le condizioni al datore di lavoro, ribaltando il paradigma - vuol dire che si è creato un problema serio che va affrontato. Lasciamo stare il gioco delle parti: qui c’è un’Italia che sta ripartendo, che ha bisogno di persone che si impegnino, che imparino un mestiere, che siano gli imprenditori di domani, ed il Governo e le istituzioni devono accompagnare questo percorso, perchè così come stanno oggi le cose non funzionano”. Questo non vuol dire che i sostegni al reddito siano sbagliati tout court, sottolinea il presidente vicario Fipe/Confcommercio. “Le persone vanno aiutate, perchè c’è un problema sociale. Ma bisogna anche tornare a conquistarsi uno spazio nella vita, a dare dignità al lavoro, alla giusta retribuzione. Vanno bene tutte le leve incentivanti, ma l’aspetto psicologico e importante. La società deve ritrasferire il messaggio che, per mangiare, bisogna produrre qualcosa, sennò il meccanismo alla fine si rompe, e lo stiamo toccando con mano”.
I numeri sono impietosi: “in questi due anni di pandemia abbiamo perso 200.000 contratti a tempo indeterminato - spiega Cursano - quindi professionalità inserite in maniera strutturale nel nostro sistema dei pubblici esercizi. A questi va sommato quel “di più”, degli stagionali, e arriviamo senza ombra di dubbio ai 400.000 addetti che mancano e che consentirebbero al settore di rispondere a pieno e soddisfare la domanda. Oggi ci sono tante, troppe attività che non hanno ancora aperto nelle zone costiere perchè non hanno lo staff.
Siamo a maggio, e tanti non aprono, e rischiano di non aprire perchè non hanno quelle figure che servono, perchè non c’è più chi è disposto a lavorare tutta l’estate, ed a fare quel sacrificio che serve in questo settore, ed è un problema enorme non solo per la ristorazione, ma anche per l’accoglienza. Ed è mortificante per chi, come noi, vive al servizio del prossimo, vedere che c’è grande domanda ma non si riesce ad organizzare l’offerta”.
E se qualche difficoltà in questo senso c’è anche in altri Paesi, solo in Italia il problema sembra così profondo. “Qualche problema c’è anche in Spagna ed in altri Paesi europei, come ci raccontano i colleghi europei che ciclicamente sentiamo, ma l’effetto “emergenza”, con questa dimensione, che abbiamo in Italia, non c’è da nessuna parte. E questo ci deve far capire che gli strumenti che abbiamo oggi non aiutano a far incontrare la domanda e l’offerta di lavoro”.

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