Sul campo militare, l’offensiva russa in Ucraina sembra essersi impantanata, con arretramenti ed avanzamenti che, negli ultimi giorni, non hanno spostato gli equilibri in maniera significativa, mentre la diplomazia prova a costruire un percorso verso la pace che sia il più condiviso possibile, pur tra mille difficoltà. Sul campo alimentare, invece, ogni giorno che passa la situazione si fa più complessa e pericolosa. Come abbiamo ricordato spesso, al grano ucraino, bloccato da settimane nelle navi attraccate nel Mar Nero, diventato un vero e proprio campo minato, è legata la sicurezza alimentare di intere aree del mondo, a partire dal Nord Africa e dal Medio Oriente.
Mentre si studiano corridoi alternativi a quello marittimo - ferroviari o più probabilmente stradali - per far uscire le scorte dai confini ucraini, tra gli effetti drammatici della guerra, come ha raccontato il viceministro dell’Agricoltura di Kyiv, Taras Visotsky, emerge un’ulteriore problema: “oltre 1,5 milioni di tonnellate di grano sono state trafugate a Zaporizhzhya, Kerson, Donetsk e Luhansk”, e portate in Crimea, regione che la Russia si è annessa nel 2014. Una complicazione in più, in un contesto che, ovviamente, colpisce direttamente anche l’industria alimentare italiana, che dall’Ucraina l’ultimo anno ha importato 142.000 tonnellate di grano tenero (per pane e dolci), e 116.000 tonnellate dalla Russia, per una quota complessiva del 5% del proprio fabbisogno, oltre a 61.000 tonnellate di grano duro, sempre dalla Federazione Russa (il 2,5% del fabbisogno complessivo).
Dove la guerra ha colpito meno duro, comunque, gli agricoltori ucraini sono riusciti a seminare (si parla di appena 6 Oblast, ossia le regioni amministrative in cui è suddiviso il Paese, su 24, ndr), e le stime per il raccolto 2022 parlano di 41,4 milioni di tonnellate di grano prodotto, meno della metà dell’ultima campagna (86 milioni di tonnellate). L’embargo alla Russia, intanto, tiene ferme le scorte, comprese quelle sottratte agli ucraini, di Mosca, ma tra i Paesi di Asia e Africa cresce la preoccupazione. Acuita dalla scelta dell’India di bloccare le esportazioni di grano: non una boutade, ma la reazione a due fattori fondamentali, come la corsa dei prezzi e l’onda di caldo che ha investito il Paese, facendo crollare le stime produttive di New Delhi e mettendo a rischio la sicurezza alimentare dell’India e dei Paesi vicini. La speranza è che si riesca così a frenare la corsa dei prezzi e delle speculazioni, ma il quadro è ogni giorno più complesso, e la “guerra del pane” evocata dal Ministro degli Esteri Luigi Di Maio, più che uno spauracchio, è un pericolo reale.
Focus - L’analisi della Coldiretti sulla situazione grano a livello globale
Il prezzo del grano è balzato al massimo da oltre 2 mesi dopo la decisione di bloccare le esportazioni assunta dall’India, il secondo produttore mondiale. E’ quanto emerge dall’analisi della Coldiretti alla riapertura settimanale del Chicago Board of trade, punto di riferimento mondiale del commercio agricolo dove il contratto future del grano è andato ben oltre i 12 dollari per bushel. Un andamento che - sottolinea la Coldiretti - ha trascinato tutti i principali prodotti agricoli che risultano in deciso rialzo, dal mais alla soia fino al riso che in molti Paesi con l’aumento delle quotazioni ha sostituito il grano nella dieta alimentare.
Il risultato nei Paesi ricchi è una spinta dell’inflazione stimata in forte crescita anche nell’eurozona dove sono state tagliate le stime di crescita del Pil ma in quelli poveri - continua la Coldiretti - allarga l’area dell’indigenza alimentare soprattutto in Africa e in Asia. E’ allarme carestia - precisa la Coldiretti - in 53 Paesi dove la popolazione spende almeno il 60% del proprio reddito per l’alimentazione e risentono quindi in maniera devastante dall’aumento dei prezzi.
La decisione dell’India di sospendere le esportazioni sconvolge i mercati dove aveva l’obiettivo di esportare ben 10 milioni di tonnellate di grano nel 2022, anche se l’Italia - secondo la Coldiretti - non ha importato direttamente grano dal secondo produttore mondiale. Un annuncio che fa seguito - sottolinea la Coldiretti a quella dell’Indonesia di sospendere le esportazioni di olio di palma, di cui il Paese è il primo produttore mondiale, a causa delle difficoltà sul mercato interno e del rischio di tensioni sociali. Ma anche Serbia e Kazakistan hanno limitato con quote le spedizioni di cereali all’estero ed in Europa una misura simile, fortemente contestata dalla Commissione Europea, era stata presa dall’Ungheria con pesanti effetti per il mais sull’Italia che ne ha importato ben 1,6 miliardi di chili di mais nel 2021.
Una situazione che - sostiene la Coldiretti - aggrava gli effetti della guerra che coinvolge direttamente il commercio di oltre 1/4 del grano mondiale con l’Ucraina che insieme alla Russia controlla il 28% sugli scambi internazionali con oltre 55 milioni di tonnellate movimentate, ma anche il 16% sugli scambi di mais (30 milioni di tonnellate) per l’alimentazione degli animali negli allevamenti e ben il 65% sugli scambi di olio di girasole (10 milioni di tonnellate), secondo l’analisi Coldiretti sulla base dei dati del Centro Studi Divulga.
L’emergenza mondiale riguarda direttamente l’Italia che è un Paese deficitario ed importa addirittura il 62% del proprio fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti, il 35% del grano duro per la pasta e il 46% del mais di cui ha bisogno per l’alimentazione del bestiame, anche se è però autosufficiente per il riso di cui è il primo produttore europeo con oltre il 50% dei raccolti per un totale di 1,5 milioni di tonnellate di risone all’anno, anche se quest’anno in forte calo per effetto della siccità e degli alti costi di produzione.
“Bisogna invertire la tendenza ed investire per rendere il Paese il più possibile autosufficiente per le risorse alimentari facendo tornare l’agricoltura centrale negli obiettivi nazionali ed europei”. ha affermato il presidente Coldiretti Ettore Prandini. “Nell’immediato occorre salvare aziende e stalle da una insostenibile crisi finanziaria per poi investire per aumentare produzione e le rese dei terreni con bacini di accumulo delle acque piovane per combattere la siccità ma serve anche contrastare seriamente l’invasione della fauna selvatica che sta costringendo in molte zone interne all’abbandono nei terreni e sostenere la ricerca pubblica con l’innovazione tecnologica e le Nbt a supporto delle produzioni, della tutela della biodiversità e come strumento in risposta ai cambiamenti climatici”.
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