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SCIENZA

Un batterio potrebbe eliminare il “sapore” di fumo nelle uve “colpite” dagli incendi

La scoperta dei Napa Valley Grapegrowers e dell’Università della California - Davis, dove il problema è, ogni anno, una grave minaccia per il vino
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Gli incendi intorno ai vigneti in California, un problema ricorrente (ph: Flickr/CalFire)

Il 21 agosto 2025, un incendio scoppiato vicino a Pickett Road, a Calistoga, ha divorato oltre 2.700 ettari di terreno nella Napa Valley, cuore pulsante della viticoltura californiana. In soli 17 giorni, il fuoco ha distrutto cinque strutture, come riportato da Cal Fire (California Department of Forestry and Fire Protection), l’agenzia statale responsabile della protezione delle risorse naturali e della sicurezza antincendio della California, e danneggiato gravemente 1.500 acri di vigneti, causando perdite agricole stimate in almeno 65 milioni di dollari, secondo la Contea di Napa. A lanciare l’allarme, fu il Commissario Agricolo della Contea di Napa, Tracy Cleveland, che parlò di “interi vigneti bruciati” e di “impatti ancora da quantificare”. Ma, oltre ai danni visibili, l’incendio ha lasciato un’eredità più subdola: il retrogusto di fumo nei vini prodotti con uve esposte agli incendi. Per affrontare questa nuova minaccia alla qualità dei suoi vino, la Napa Valley Grapegrowers (Nvg), l’organizzazione di riferimento per i viticoltori della zona, in collaborazione con l’Università della California - Davis (Uc Davis), ha avviato un progetto di ricerca per analizzare l’esposizione al fumo e sviluppare strumenti di valutazione rapidi ed economici. In questo scenario critico, una scoperta scientifica condotta da Claudia Castro del Plant Gene Expression Center (Pgec), affiliato al Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (Usda), culminata nello studio “Batteri isolati dalla fillosfera della vite capaci di degradare il guaiacolo, un principale fenolo volatile associato al gusto di fumo nel vino”, potrebbe rappresentare una svolta: alcuni batteri naturali presenti sulla fillosfera della vite, in particolare due ceppi di Gordonia alkanivorans, sono capaci di degradare il guaiacolo, un composto chimico aromatico responsabile del gusto di fumo nei vini.
Il guaiacolo è una sostanza chimica che si sviluppa negli incendi e che può penetrare nella buccia dell’uva, rimanendo “nascosta” fino alla fermentazione, quando viene rilasciata, alterando il sapore del vino e conferendogli un retrogusto affumicato. Per capire come contrastare questo fenomeno, i ricercatori hanno raccolto foglie di vite di Chardonnay e Cabernet Sauvignon per studiare i batteri naturalmente presenti sulla pianta. In laboratorio, hanno fatto crescere questi batteri in contenitori chiamati piastre di Petri, nutrendoli con diverse sostanze, tra cui il guaiacolo. In due colture alimentate solo con guaiacolo, sono apparse vivaci macchie arancioni: segno che i batteri stavano “mangiando” il composto. Analizzandolo geneticamente, gli scienziati hanno identificato due ceppi del batterio Gordonia alkanivorans capaci di degradare il guaiacolo. Dopo 96 ore, il composto era quasi scomparso. Tuttavia, quando i batteri sono stati esposti ad altri composti simili, non sono cresciuti, indicando che sono molto selettivi. Gli studiosi hanno anche individuato il gene responsabile di questa capacità: rimuovendolo, il batterio perde la funzione.
Questa scoperta apre la strada a nuove soluzioni biologiche per eliminare il gusto di fumo nei vini, in modo più preciso e meno invasivo dei metodi attuali. In un settore che nel solo 2020 ha perso oltre 3 miliardi di dollari a causa degli incendi, questa scoperta rappresenta una speranza concreta per proteggere la qualità dei vini e la sostenibilità dell’intera filiera vitivinicola. “Quasi ogni anno ci sono incendi che colpiscono i vigneti in qualche parte degli Stati Uniti occidentali o nella Columbia Britannica. Ormai accade abbastanza spesso da rendere necessario disporre degli strumenti per affrontare il problema”, conclude Thomas Collins, chimico specializzato in viticoltura alla Washington State University di Richland e coautore dello studio.

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