“Da quassù la Terra è bellissima, senza frontiere né confini, è azzurra ... che meraviglia”. Sono le parole, passate alla storia, del cosmonauta sovietico Jurij Alekseevič Gagarin, il primo uomo, il 12 aprile 1961, a lasciare l’atmosfera terrestre e compiere un giro intorno alla Terra, vedendola in tutta la sua magnifica interezza. È un po’ la sensazione, di straniamento, ma anche di meraviglia, che si ha guardando “dall’alto” il mondo del vino. E non serve salire a bordo della Vostok 1, basta lasciarsi accompagnare, da un Paese all’altro, da un territorio all’altro, e da un calice all’altro, dalle firme di “Wine Advocate Robert Parker”, un punto di riferimento per la critica e la cultura stessa del vino nel mondo.
Francia, Italia, Spagna, California, Sud America, Sud Africa, Australia, Nuova Zelanda ... il mondo enoico, proprio come la Terra, è bellissimo e senza frontiere, in continuo mutamento e con un’infinita di punti di contatto e di lotte comuni. Qualcuna da affrontare insieme, come quella agli effetti del Climate Change, altre da vivere in una sana competizione, su tutte, ovviamente, la sfida alla conquista dei mercati. Sono tutti gli argomenti finiti al centro delle interviste che WineNews ha avuto l’occasione di fare ai “reviewer” di “Wine Advocate Robert Parker” - Joe Czerwinski, William Kelley, Erin Brooks, Yohan Castaing, Luis Gutiérrez, Erin Larkin, Monica Larner, Anthony Mueller e Stephan Reinhardt - incontrati, qualche mese fa, a Zurigo, a “Matter of Taste”, l’esclusiva degustazione delle migliori etichette del mondo.
Il risultato è un punto di vista alto ed altro, capace di collocare l’Italia in un contesto più ampio, in cui non sempre gioca un ruolo di primo piano, mentre il Nuovo Mondo - che così nuovo, al di là della cultura enoica, non è - ha già imparato tantissimo. Ogni Paese, così, assume contorni diversi, e persino la piccola Svizzera, osservandola da vicino, non si limita ad acquistare bottiglie dal resto del mondo, ma produce la metà del vino che consuma abitualmente. E la lontana Australia, che non ha certo la storia di Francia o Italia, scopre senza sovrastrutture né preconcetti la bellezza del terroir, inteso come incontro tra vitigno, territorio e know how teso a garantire non solo il miglior risultato possibile in bottiglia, ma anche farlo nel rispetto della sostenibilità ambientale.
Insieme al vino, però, cambiano anche la critica ed il giornalismo, e come ricorda Joe Czerwinsky, che copre Napa Valley e Rodano, “negli anni è cresciuto in maniera esponenziale il numero di critici, blogger, influencer, testate: è un panorama molto diverso da come era prima, ma il nostro compito è sempre lo stesso, offrire al consumatore il parere di un esperto diverso per ogni Regione, a partire dalla Napa Valley, che, negli ultimi anni, ha virato verso la produzione di vini capaci di esprimere eleganza e freschezza. Per certificare quali sono le cantine che stanno facendo veri sforzi nella direzione della sostenibilità, aspetto fondamentale per “Wine Advocate Robert Parker”, abbiamo introdotto il “Green Emblem”. È un parametro separato da quella che è la critica al vino, basata unicamente su quello che c’è nel calice: equilibrio, lunghezza, intensità, complessità”.
Sulla West Coast, tra Sonoma e Oregon, Erin Brooks sottolinea la “grande varietà climatica e topografica della California, ma la regione più interessante oggi è l’Oregon, perché il clima è più temperato, le temperature più moderate, non ci sono i picchi estremi della California, ed è molto meno soggetto ad incendi devastanti. Pinot Nero, Chardonnay e Gamay stanno dando ottime soddisfazioni, e, in futuro, la qualità crescerà ancora. Credo che, nel mondo del vino, esista una sorta di pendolo che determina gli stili in voga, passando da una posizione all’altra, muovendosi tra le generazioni, e questo influenza il lavoro dei produttori, sia italiani che californiani”, conclude Erin Brooks.
Se il presente è tanto complesso, la storia l’ha scritta la Francia, che oggi vive un momento di enorme cambiamento e di grandi sfide. “Champagne e Borgogna raccolgono grandi successi, ma non vale per tutti: gli Champagne in Gdo fanno fatica, così come i vini di Macon e Chablis”, racconta William Kelley, punto di riferimento per Bordeaux, Burgogna, Chablis, Beaujolais, Champagne, Madeira e sparkling della Gran Bretagna. “A Bordeaux i maggiori player stanno lavorando molto bene, hanno riposizionato i loro prezzi ad un livello molto alto, ma ci sono ettari e ettari di vigne, piantate recentemente, dopo il boom dei primi anni Duemila, che attualmente sono in grande sofferenza. In ognuna di queste Regioni, oggi, si dovranno affrontare gli effetti del Climate Change, ad esempio piantando cloni diversi, che posticipino la maturazione delle uve e limitino il grado alcolico”.
La Francia, però, è anche altro, e spesso i territori meno noti scontano banalmente “i limiti del sistema distributivi”, come fa notare Yohan Castaing, firma per “Wine Advocate Robert Parker” da Loira, Languedoc-Roussillon, Provenza, Champagne, Bordeaux e Sud-Ovest della Francia. “La qualità continua ad aumentare ovunque, dalla Valle della Loira alla Provenza alla Linguadoca, e sono convinto che, poco a poco, queste regioni troveranno il loro posto, ma la Loira è decisamente la regione più interessante in questo momento in Francia: vini freschi ed eleganti, sia bianchi che rossi, e un ottimo rapporto qualità prezzo. La Provenza è stata bravissima a creare il fenomeno dei vini rosati, mentre il Sauternes soffre la stigmatizzazione di tutto ciò che è dolce e zuccherato, ma anche la scarsa conoscenza da parte dei consumatori”.
In Spagna “le varietà autoctone sono parte del Rinascimento enoico che stiamo vivendo, e dell’orgoglio ritrovato per i vini del nostro Paese”, racconta Luis Gutièrrez, responsabile di Spagna e Sud America. “In passato abbiamo vissuto un certo complesso di inferiorità: ci paragonavamo costantemente con la Francia, ma anche con l’Italia, e le varietà autoctone non avevano una reputazione di qualità, al contrario. Ma oggi è tutto diverso, tanto che la gente nelle varietà autoctone vede un valore aggiunto e una differenziazione per fare vini di personalità. Se si decide di produrre un vino varietale, come ad esempio un Cabernet Sauvignon o uno Chardonnay, in una Regione della Spagna, si dovrà competere con i vini varietali prodotti in qualsiasi altra parte del mondo. Invece, produrre una Garnacha de Gredos vuol dire produrre un vino unico, così come un Albariño della Rias Baixas, ossia vini che non si possono produrre in nessun altro posto al mondo, perché il territorio dà al vino un carattere unico”. Anche il vigneto iberico, ovviamente, deve fare i conti con il Climate Change, ma Gutièrrez è convinto che “ci sono molti strumenti per combattere i cambiamenti climatici, e le varietà autoctone sono quelle che, attraverso i decenni ed i secoli, si sono adattate meglio ad un determinato territorio, e sono quindi quelle che, normalmente, lavorano meglio”.
Molto più recente è la storia vitivinicola di Australia e Nuova Zelanda, “dove, però, esiste una cultura indigena vecchia di 16.000 anni, spazzata via dalla colonizzazione britannica, che ha portato la viticoltura intorno alla metà del XIX secolo”, racconta Erin Larkin, firma dall’Oceania di “Wine Advocate Robert Parker”. “Parlando di terroir, essendo Nuovissimo Mondo non abbiamo nessun obbligo particolare a coltivare un vitigno in una determinata Regione, piuttosto che un altro, ma i terroir chiave e i vitigni chiave stanno, comunque, emergendo. Faccio un esempio: non è obbligatorio coltivare Chardonnay sul Margaret River, ma è un dato di fatto che sia superiore a tutti gli altri Chardonnay prodotti nell’Australia Occidentale. Chiaramente è un lavoro di classificazione ancora in corso, sono Regioni vinicole molto giovani se paragonate alle altre a livello mondiale, ma stiamo crescendo in fretta, è un mondo molto dinamico, e penso che, nel giro di 10-15 anni, o forse meno, avremo un quadro chiaro di quelli che saranno i migliori abbinamenti tra territorio e varietà in Australia. I vitigni più comuni sono gli internazionali, ma, con l’immigrazione degli italiani, sono arrivati anche Sangiovese, Nebbiolo, Sagrantino, che ben si adattano ai climi più caldi”, chiosa Erin Larkin.
Tra Emisfero Sud, in questo caso Sud Africa, e Usa, opera, invece, Anthony Mueller, una lunga carriera da sommelier alle spalle ed un naso eccezionale, a detta di tutti i suoi colleghi. “Un buon degustatore, così come un buon educatore, deve avere prima di tutto una preparazione adeguata, acquisita con lo studio e gli assaggi. Tramite il nostro lavoro devono parlare i vini, e noi dobbiamo essere sempre consapevoli di ciò che accade nei territori a livello planetario. Non si può pensare di conoscere una regione del vino senza conoscere il mondo del vino ed i suoi top producers. In degustazione - spiega ancora Anthony Mueller, con un occhio alla salute - non si può deglutire ogni singolo bicchiere, ma per avere un quadro completo bisogna fare riferimento al gusto secondario: quindi prendi il vino, lo annusi, lo assaggi, lo sputi, e, a questo punto, se il vino ti è piaciuto, procedi con un secondo assaggio che prevede una piccola deglutizione. Bisogna bere sempre con moderazione, perché, come certificano molti studi, non esiste un livello di consumo di alcol che possa definirsi sicuro”.
Avvicinandoci, di nuovo, all’Italia, facciamo quindi tappa in Svizzera e Germania, due mercati fondamentali, certamente, ma non solo. “Un aspetto interessante è che solo l’1,5% dei vini svizzeri viene esportato, il resto viene consumato nel Paese, ma copre appena il 50% dei consumi complessivi, l’altra metà del fabbisogno viene perciò importata dall’estero”, racconta Stephan Reinhardt, reviewer per i vini di Svizzera, Germania e Tokaji, in Ungheria. “Gli italiani sono i vicini della porta accanto per gli svizzeri, qui si beve molto vino italiano, specialmente del Piemonte, ma anche di Toscana e Veneto”, dice Reinhardt. Ricordando che, anche in Svizzera e in Germania, il dibattito su vino e salute è vivace, ma bisogna anche sottolineare che “il vino è un prodotto culturale, i vini di cui parliamo non sono vini per il consumo di massa, sono prodotti artigianali, frutto di una cultura millenaria: non si beve vino per sballarsi, ma per conoscere e celebrare un territorio e chi lo ha reso grande, dobbiamo educare le persone ad un consumo consapevole”.
E l’Italia, chiudendo questo giro tra i vigneti del mondo, che ruolo ha in un contesto tanto ricco e variegato, ma anche competitivo? Nessuno può raccontarlo meglio di Monica Larner (qui l’intervista completa, a WineNews), italian editor della più autorevole voce della critica enoica mondiale. “Il vino italiano deve ancora migliorarsi nella comunicazione all’estero, e fare ordine tra tante denominazioni. Bisogna offrire una fotografia più fluida, multidimensionale ed interattiva del vino italiano, che abbia senso per chi non lo vive da vicino ma vorrebbe conoscerlo meglio. Dal punto di vista del marketing, è sorprendente il grande lavoro fatto dal Chianti Classico, con le Uga, un modo dinamico di raccontare il territorio, come già fatto anche da Barolo e Barbaresco con le Mga”. Il futuro, anche dal punto di vista commerciale, è, però, “dei bianchi italiani, un mondo ancora tutto da scoprire, specialmente se guardiamo ai vitigni autoctoni come Soave, Falanghina, Carricante. Ci sono vini di grande territorio, grazie a suoli vulcanici o calcarei, e con il Climate Change”. Tra i punti di forza dell’Italia, aggiunge Monica Larner, “c’è la capacità di unire il turismo del vino con la cultura gastronomica e la ricchezza culturale ed artistica del Paese. La Toscana lo fa da tanti anni, il Piemonte lo fa con l’eccezionale qualità delle sue cantine e della sua cucina, e la Sicilia non è sicuramente da meno”.
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